Alcuni rischi derivanti dal cambiamento della politica monetaria europea
di Paolo Cecchi
Il Quantitative easing (QE) è una politica monetaria con cui la Banca centrale acquista sul mercato titoli di vario genere stampando moneta, con l’obiettivo di rilanciare l’economia. Tale iniziativa è stata approntata, ad esempio, dalla BCE – dal marzo 2015 – per cercare di tenere bassi i tassi di interesse in Europa, iniettando al contempo nel sistema una grande liquidità a basso costo.
Con riferimento al nostro caso nazionale, dopo la crisi dello spread tra titoli italiani e tedeschi del 2011, il QE ha sicuramente contribuito ad “allentare la situazione”. Negli ultimi anni la Banca d’Italia (per conto della BCE) ha infatti acquistato tra i 7 e i 13 mld di euro di Btp ogni mese.
Da gennaio 2018, secondo le indicazioni esplicitate dal Presidente Draghi, tali acquisti si sono dimezzati; peraltro i volumi comprati sono ancora rilevanti visto che la BCE reinveste i titoli in scadenza.
Altra notizia positiva, da sottolineare, è rappresentata dal fatto che, oggi, il debito pubblico nazionale è di proprietà, per circa il 70%, di privati (aziende, soggetti individuali) italiani (di cui il 17% nelle mani della Banca d’Italia); nel 2011 circa il 50% del debito era in mani estere: questo dato contribuisce a ridurre la volatilità.
Il dimezzamento degli acquisti (che ad un certo punto termineranno allorquando si raggiungerà l’obiettivo del 2% circa di inflazione europea, così come previsto dallo statuto dell’Eurotower) potrebbe – purtroppo - produrre delle difficoltà alle “finanze” del nostro paese.
Innanzitutto, il venir meno degli acquisti “garantiti “ di titoli di stato da parte della Banca centrale potrà determinare una spinta all’innalzamento dei tassi di interesse, specie poi se – come pare- a breve si avvierà una politica monetaria da parte della Federal Reserve di analogo segno.
Seppur, in questi ultimi anni il MEF ha cercato di allungare le scadenze medie dei titoli emessi approfittando della favorevole politica monetaria, è evidente che un aumento dei tassi potrà avere effetti deleteri sulle finanze pubbliche – in termine di spesa per interessi – visto che il debito del paese si attesta ormai ad un intorno di 2300 mld di Euro. Al riguardo, per il sistema bancario italiano si può prospettare un periodo di luci ed ombre.
Ad esempio, la riduzione del QE e la presumibile crescita dei tassi di interesse potrà determinare – da una parte- una riduzione dei guadagni proveniente dalla riscossione delle cedole dei titoli di stato e – dall’all’altra parte – la possibilità di svolgere l’attività di intermediazione con maggiori margini visto il presumibile allargamento della forbice tra tassi sulla raccolta e tassi sugli impieghi.
In un ottica più generale, c’è peraltro da aggiungere che, il combinato disposto del cambiamento della politica monetaria BCE e della presumibile modifica delle normative in tema di “peso” da dare ai titoli di stato detenuti nel bilancio delle aziende di credito, ridurrà - in futuro - il legame tra banche italiane e debito pubblico nazionale, caratteristica che in questi anni di crisi è stato, comunque, fondamentale per ridurre le pressioni sul nostro spread.
Pertanto, i rischi di gestione del debito italiano sono – presumibilmente – destinati a salire nel prosieguo; alla nostra classe dirigente, nonché – forse- ad una diversa modalità di gestione europea dei debiti nazionali, spetta trovare – in tempi contenuti - risposte credibili e affidabili.
FisacSostiene
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Il congresso nella nuova fase
di Daniele Quiriconi
Nei prossimi giorni, inizierà il percorso per il congresso della CGIL. Incrocerà, per quello che riguarda la categoria, l’assemblea organizzativa di importanti gruppi e sfiorerà l’avvio del confronto sul prossimo CCNL ABI. Tuttavia i tempi lunghi ( troppo) e la snellezza del documento ( opportuna) che sarà presentato ai primi di Aprile, dovrebbero garantire agevolmente la “sostenibilità” del percorso.
Lo sforzo dovrà essere quello di garantire la massima partecipazione e la discussione tra gli iscritti e non solo, in una fase di tumultuoso cambiamento non solo del sistema del credito e delle assicurazioni, ma in generale del paese nei suoi rapporti economici, relazionali e di potere.
E a valle della peggiore crisi del sistema creditizio e in generale della storia del nostro paese, che non solo ha distrutto lavoro e reddito, ma accentuato diseguaglianze e reso il paese più rancoroso e poco incline ad ascoltare ragionamenti complessi, necessari ad affrontare problemi epocali come quelli posti dalle guerre e dalle migrazioni.
Il nuovo quadro post elettorale, rappresenta un’altra incognita: non tanto per il profilo delle forze vincitrici o la deriva di quelle sconfitte: tutte cose note e previste. Quanto per la difficoltà di portare a sintesi storie, programmi, ambizioni, fuori da avventurismi e con un necessario ancoraggio ai valori repubblicani antifascisti e costituzionali che sono per noi, per la CGIL, l’ancoraggio decisivo per qualsiasi valutazione politica.
Nel merito poi, continueremo come sempre a fare il nostro lavoro, rimanendo sui problemi e ripartendo dalle elaborazioni che in questi anni abbiamo saputo produrre ( come Confederazione e come categoria) consapevoli che una cosa ci distinguerà sempre anche in epoca di disintermediazione dalla rappresentanza politica e cioè la rete di decine di migliaia di delegati nelle aziende e sui territori, che gratuitamente e faticosamente, rappresentano la nostra forza da un lato e il primo terminale di confronto con i lavoratori dall’altro.
Non ci sono per noi “periferie” abbandonate completamente anche se non ci sfuggono le profonde differenziazioni che si sono prodotte negli anni nel mondo del lavoro in termini di protezione e tutela contrattuale e di legge. Il tema dell’inclusività, della rappresentanza generale quindi , sarà la nuova sfida per la CGIL, per la FISAC e per gruppi dirigenti che dovranno interpretarne la missione.
Gruppo Unipol: riparte il dialogo?
di Tania Cità
Le OO.SS unitarie del Gruppo, dopo un lungo periodo che ha visto un progressivo deterioramento delle relazionali industriali, hanno da tempo intrapreso un percorso di mobilitazione.
Dopo un attivo unitario di tutti i delegati, tenutosi a BOLOGNA il 1/2/2018, si sono poi tenute assemblee in tutte le sedi del Gruppo, che hanno visto una grande partecipazione dei lavoratori. È stato in quel contesto votato pressoché all'unanimità un ordine del giorno in cui si è dato mandato alle OO.SS ad articolare un pacchetto di 10 ore di sciopero, con l'intento di contrastare un vero e proprio attacco da parte dell’Impresa teso a smantellare le tutele contrattuali, azione che in prospettiva danneggerebbe tutti i lavoratori: interpretazioni unilaterali dei Contratti, disdetta degli Accordi, esternalizzazione di attività, applicazione del Contratto Commercio per mansioni assicurative e bancarie, mancati riconoscimenti professionali, gestione inadeguata della mobilità professionale.
La fase politica e sociale che stiamo vivendo e le nuove sfide per il mercato assicurativo (digitalizzazione, innovazione tecnologica) impongono ancor più la necessità di coesione sociale e dialogo avanzato tra le parti, messaggio politico che arriva forte e chiaro anche dall’intesa CGIL CISL e UIL con CONFINDUSTRIA del 9 marzo sul nuovo modello contrattuale e su nuove relazioni industriali.
Unipol, con le sue scelte e le sue modalità si è posta invece, in questo recente passato, al di fuori di questo quadro. Si sono già svolte giornate di mobilitazione in Linear, Unisalute e in PAS, con altissima adesione agli scioperi, originando disagi in termini di disservizio e mettendo a dura prova la tanto ricercata “reputation pubblica”. È poi seguita un’ora di sciopero in tutte le sedi e aziende assicurative del Gruppo ed è stata attivata la "Cassa per lo Sciopero", il conto corrente attraverso il quale saranno finanziate le iniziative nei Call Center con il contributo dei lavoratori del Gruppo, dei Sindacati e di chiunque altro voglia partecipare.
La mobilitazione (al momento sospesa) ha dato un primo risultato: una convocazione aziendale e un lungo incontro nel quale il Sindacato ha invocato la necessità di un dialogo responsabile a vantaggio delle singole società e nell’interesse di tutti i colleghi del Gruppo. L’Impresa, partendo dalle proprie posizioni e pur rimarcando divergenze ancora tutte da dirimere, alla fine della riunione ha convenuto di provare a costruire un modello più efficace di relazioni, basate sul confronto preventivo e senza pregiudiziale alcuna sulle problematiche.
L’incontro getta le basi per cercare di intervenire su tutte le questioni da troppo tempo rimaste irrisolte e per le quali risulta urgente una definizione: appalti (in primis Linear), applicazione Contratti altri Settori (Alfa Evolution Technology; Leithà, Apb, SiSalute), incontri di Sede, di Area e Struttura, mobilità professionale e corretti inquadramenti.
Nei prossimi incontri già calendarizzati verificheremo le reali disponibilità dell’Impresa nel tradurre le parole in fatti concreti.
L'intervento
Gruppo Unipol: riparte il dialogo?
È appena uscita
La Newsletter
Fisac Cgil Toscana
Numero 26
Marzo 2018
Fisac Graffiti
Il congresso nella nuova fase
La Fisac Toscana verso il congresso
Il Quantitative Easing
Alcuni rischi derivanti dal cambiamento della politica monetaria europea
Il gruppo dirigente della Fisac Cgil Toscana si é riunito in seminario per 2 giorni a Rapolano Terme (Si) per confrontarsi sulla situazione politica contrattuale e discutere del documento della categoria regionale che costituirà il contributo per il prossimo congresso nazionale della Cgil… Leggi tutto
Nei prossimi giorni, inizierà il percorso per il congresso della CGIL. Incrocerà, per quello che riguarda la categoria, l’assemblea organizzativa di importanti gruppi e sfiorerà l’avvio del confronto sul prossimo CCNL ABI. Tuttavia i tempi lunghi ( troppo) e la snellezza del documento ( opportuna) che sarà presentato ai primi di Aprile, dovrebbero garantire agevolmente la “sostenibilità” del percorso. Lo sforzo dovrà essere quello di garantire la massima partecipazione e la discussione tra gli iscritti e non solo, in una fase di tumultuoso cambiamento non solo del sistema del credito e delle assicurazioni... Leggi tutto
FisacSostiene
EDITORIALE
Le OO.SS unitarie del Gruppo, dopo un lungo periodo che ha visto un progressivo deterioramento delle relazionali industriali, hanno da tempo intrapreso un percorso di mobilitazione. Dopo un attivo unitario di tutti i delegati, tenutosi a BOLOGNA il 1/2/2018, si sono poi tenute assemblee in tutte le sedi del Gruppo, che hanno visto una grande partecipazione dei lavoratori... Leggi tutto.
Il Quantitative easing (QE) è una politica monetaria con cui la Banca centrale acquista sul mercato titoli di vario genere stampando moneta, con l’obiettivo di rilanciare l’economia. Tale iniziativa è stata approntata, ad esempio, dalla BCE – dal marzo 2015 – per cercare di tenere bassi i tassi di interesse in Europa, iniettando al contempo nel sistema una grande liquidità a basso costo. Con riferimento al nostro caso nazionale, dopo la crisi dello spread tra titoli italiani e tedeschi del 2011, il QE ha sicuramente contribuito ad “allentare la situazione”. Negli ultimi anni la Banca d’Italia (per conto della BCE) ha infatti acquistato tra i 7 e i 13 mld di euro di Btp ogni mese. Da gennaio 2018, secondo le indicazioni esplicitate dal Presidente Draghi, tali acquisti si sono dimezzati... Leggi tutto.
Sindacato, CSR e nuove normative: una proposta di ricerca
Il D.Lgs. 254/2016, recependo la Direttiva europea 2014/95/UE, ha introdotto in Italia l’obbligo di allegare al bilancio una Dichiarazione di Carattere non finanziario, a partire dall’esercizio finanziario 2017. In Italia si calcola che più di 300 imprese tra società quotate, banche, assicurazioni e altri enti di interesse pubblico dovranno redigere questo tipo di dichiarazione, laddove contino più di 500 dipendenti e abbiano, alla data di chiusura del bilancio, un valore dello stato patrimoniale… Leggi tutto
La Fisac Toscana verso il congresso
Due giorni di discussione seminariale aperta e intensa sul congresso, la,Cgil, la Fisac, quella svolta a Rapolano ( Siena) il 27-27 Marzo.
Un momento per fare il punto sulla fase ancora delicata delle riorganizzazioni del sistema del credito e delle assicurazioni, per discutere del nuovo quadro politico e delle scelte di politica economica e del lavoro che possono esservi connesse, delle complesse modalità con cui giungere al congresso nazionale Cgil il cui percorso è iniziato.
Il documento che é scaturito e che costituisce il contributo della Fisac Toscana alla discussione confederale tocca tutti gli aspetti centrali della vita del paese e del mondo del lavoro e i principali temi di interesse dei lavoratori del settore in una fase di profonde trasformazioni.
In un clima di grande unità ( che non vuol dire mancanza di confronto) e che è il patrimonio più grande della Cgil, tutti i partecipanti hanno messo in evidenza la necessità di rilanciare l’azione dell’organizzazione nei luoghi di lavoro attraverso una presenza più forte dei delegati in rapporto diretto con le persone, riconosciuto come punto di forza dell’azione sindacale, potenziando al contempo tutti gli strumenti, vecchi e nuovi, della rappresentanza.
Quasi tutti si sono rammaricati per i tempi troppo lunghi di un congresso che, nonostante i canonici, rituali, puntuali buoni propositi, anche in questa occasione durerà 10 mesi.
Decisamente troppi nella modernità.
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Sindacato, CSR e nuove normative: una proposta di ricerca
di Roberto Errico
Il D.Lgs. 254/2016, recependo la Direttiva europea 2014/95/UE, ha introdotto in Italia l’obbligo di allegare al bilancio una Dichiarazione di Carattere non finanziario, a partire dall’esercizio finanziario 2017. In Italia si calcola che più di 300 imprese tra società quotate, banche, assicurazioni e altri enti di interesse pubblico dovranno redigere questo tipo di dichiarazione, laddove contino più di 500 dipendenti e abbiano, alla data di chiusura del bilancio, un valore dello stato patrimoniale superiore a 20 milioni di Euro oppure un totale dei ricavi netti delle vendite o delle prestazioni di almeno 40 milioni di euro.
La direttiva Europea ed il Decreto s’inscrivono all’interno della strategia comunitaria volta a favorire la disclosure, letteralmente la rivelazione di dati, prassi, progetti e scelte strategiche delle imprese che andando al di là delle mere informazioni di bilancio posso consentire di valutare la loro responsabilità sociale. A partire dalla definizione di Corporate Social Responsibility (CSR) come “responsabilità delle imprese per il loro impatto sulla società”, gli organismi comunitari sono più volte intervenuti sul tema, con l’obiettivo di puntellare la strategia Europa 2020 per una crescita sostenibile ed inclusiva.
Nello specifico, la Direttiva ed il Decreto prevedono che la Dichiarazione debba coprire sei aree: utilizzo di risorse energetiche, emissioni di gas ad effetto serra, impatto dell’azienda su ambiente, salute e sicurezza, aspetti sociali e di gestione delle risorse umane, rispetto dei diritti umani e norme antidiscriminatorie, lotta alla corruzione attiva e passiva. Per ogni ambito, le aziende dovranno esplicitare i modelli di governance adottati, i profili di rischio sia interni che esterni che derivano dalle attività d’impresa, gli indicatori sintetici e gli standard di rendicontazione utilizzati.
L’intento del legislatore è quello di consentire una valutazione il più oggettiva possibile dell’impatto sociale dell’impresa, prevendendo anche sanzioni pecuniarie per dichiarazioni incomplete o mendaci. Per il mondo sindacale si tratta di una sfida che andrebbe raccolta per tre ordini di motivi.
Innanzitutto, è importante sottolineare che le pratiche di CSR delle grandi aziende, se non adeguatamente presidiate, possono essere utilizzate per mere finalità di marketing. La crescente quanto generica domanda di eticità e sostenibilità da parte dei consumatori può rappresentare un occasione per incrementare il valore del marchio ed il brand awareness delle singole imprese, con operazioni di facciata e che non hanno un impatto reale sulle comunità.
In secondo luogo, il riconoscimento istituzionale di pratiche che sono definite come volontarie dalla stessa Commissione Europea potrebbe fornire nel lungo periodo, se non mediate dalle rappresentanze sindacali, un punto d’appoggio importante per agende politiche favorevoli al ridimensionamento della contrattazione sindacale pura a vantaggio di tipologie di dialogo sociale più facilmente controllabili e meno vincolanti.
Infine, l’approccio market-based alla CSR portato avanti dalle stesse associazioni datoriali a livello nazionale e sovranazionale potrebbe essere ulteriormente incentivato da una cornice istituzionale snella, come quella messa in piedi in ambito UE, ed usato per sostenere un’agenda di nuova deregolamentazione basata sulla sostituzione di hard law (leggi) con meccanismi di soft law come codici di condotta, dichiarazioni di principi e raccomandazioni.
Se queste sono preoccupazioni che il mondo sindacale ha ben presente, è opportuno sottolineare anche che un investimento forte su pratiche CSR da parte delle organizzazioni dei lavoratori potrebbe avere anche dei risvolti positivi, sia in termini di clima all’interno delle unità produttive, sia in termini di sostenibilità complessiva delle aziende stesse. Ciò ha particolare valenza nel nostro settore, dove ad esempio il tema delle pressioni commerciali è spesso stato affrontato in modalità stand-alone, senza cioè una rilettura complessiva delle relazioni intercorrenti tra pressioni atte a spingere la vendita di determinati prodotti e conseguenze macro sulle aziende bancarie ed il sistema economico nel suo complesso.
Tuttavia, prima di ragionare sui termini di un possibile maggiore coinvolgimento delle OO.SS. sul tema, sarebbe opportuno comprendere la portata dei nuovi strumenti introdotti dal D. Lgs. 245/2016, valutandoli in maniera approfondita. Obiettivo di questa ricerca dovrebbe essere proprio quello di comprendere se il perimetro della contrattazione sindacale può essere “allargato” ai temi CSR ed in che modo quest’allargamento può essere gestito al fine di ottenere ricadute positive per i lavoratori, l’ambiente ed il sistema economico in generale. In una fase sperimentale, lo strumento della dichiarazione di carattere non finanziario andrebbe analizzato sia con un approccio interno che esterno.
Dall’interno, provando a farlo valutare ai sindacati aziendali, con un focus specifico sugli indicatori utilizzati, i risultati dichiarati e quelli percepiti nel quotidiano della vita aziendale, utilizzando in via prioritaria come strumento un questionario. Dall’esterno, il lavoro dovrebbe provare a concentrarsi sulla valutazione complessiva di quanto dichiarato e su una necessaria analisi dei concetti e delle terminologie utilizzate, anche attraverso l’uso di strumenti come il Tag Cloud ed il Text Mining.
In entrambi i casi, è comunque necessario il coinvolgimento delle rappresentanze sindacali aziendali ed un lavoro di raccordo complessivo per poter poi comparare i risultati ottenuti e giungere ad una valutazione generale sullo strumento. Le prime dichiarazioni di carattere non finanziario saranno allegate ai bilanci 2017. Anche per le aziende, come per le organizzazioni sindacali, si tratterà di qualcosa di nuovo e diverso dai bilanci di sostenibilità che alcune grandi aziende hanno redatto in modo volontaristico nel corso degli ultimi 15 anni.
L’obbligatorietà e la necessità di coprire diverse aree fornirà sicuramente un quadro più particolareggiato delle azioni di CSR poste in atto dalle aziende. Non possiamo sapere se e quanto questo strumento potrà risultare utile in termini di contrattazione, ma per un sindacato come il nostro, basato sulla rappresentanza, è fondamentale anche “sperimentare” strumenti e modalità nuove, soprattutto in una fase acuta di crisi del concetto stesso di rappresentanza.
Aprirsi a nuove prassi e rilanciare su nuove rivendicazioni, senza rinunciare ai nostri principi, è l’unica strada al momento percorribile per mantenere un ritmo che sia al passo con le esigenze e le aspettative di un mondo del lavoro sempre più complesso.