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Euro Digitale: rischi e opportunità di Paolo Cecchi La Banca centrale europea ha pubblicato recentemente sul proprio sito internet un rapporto riguardante la possibile emissione di un Euro digitale che si affiancherebbe al contante, senza sostituirlo. Si tratterebbe quindi di una moneta sotto forma elettronica avente corso legale e in grado di ispirare lo stesso grado di fiducia delle forme tradizionali di moneta. Il 12 ottobre prossimo p.v. verrà avviata una consultazione pubblica al riguardo con i cittadini, il mondo accademico, il settore finanziario e le autorità pubbliche; la fase di ascolto si rende oltremodo necessaria in quanto qualsiasi moneta si basa sul principio della fiducia per cui è fondamentale che i cittadini accettino questa nuova (ed eventuale) moneta elettronica. E’ bene precisare preliminarmente che non si tratterebbe di una criptovaluta, quale ad esempio il Bitcoin, in quanto a differenza di quest’ultima l’Euro digitale avrebbe un valore intrinseco e sarebbe garantito da un’istituzione pubblica, per cui non avrebbe il problema dell’estrema volatilità. La task force dell’Eurosistema che ha redatto il rapporto ha previsto alcuni scenari al succedersi dei quali emergerebbe la necessità dell’adozione di un mezzo di pagamento digitale. Si citano, ad esempio, un calo significativo dell’uso del contante, l’introduzione di mezzi di pagamento privati a carattere globale che potrebbero generare rischi per la stabilità finanziaria, un’ampia diffusione di monete digitali emesse da banche centrali estere, oppure un evento estremo, come una calamità naturale, che porterebbe all’impossibilità di utilizzare il contante. Come tutti i grandi cambiamenti, anche l’introduzione di un Euro digitale presenta sia opportunità sia rischi. Sotto il primo aspetto si puo’ ricordare che uno strumento di pagamento del genere potrebbe favorire l’inclusione finanziaria di ampi strati di popolazione ad oggi esclusi, rafforzerebbe il ruolo europeo nei processi globali di digitalizzazione e modernizzazione dell’economia, consoliderebbe presumibilmente l’Euro come valuta internazionale e, anche, migliorerebbe l’efficacia delle misure poste a contrasto del riciclaggio del denaro. Per quanto concerne i rischi, innanzitutto, data la tracciabilità della moneta digitale in tutti i suoi passaggi, emerge una questione di diritto alla privacy dei cittadini. Inoltre, come ha ricordato recentemente anche C. Lagarde, se non opportunamente normato e gestito, tale sistema di pagamento può alterare la trasmissione della politica monetaria, fondamentale nei momenti di crisi del sistema economico. Infine, ci potrebbe essere un impatto sulle banche tradizionali visto che l'assoluta sicurezza e affidabilità dell'euro elettronico potrebbe indurre i cittadini a preferirlo rispetto al contante, riducendo le disponibilità sui conti correnti e, alla fine, togliendo alle aziende di credito importanti fonti di liquidità.
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Bad bank europea, un’ipotesi non più sacrilega (finalmente!)   di Paolo Cecchi Come riportato recentemente dal quotidiano “il sole 24 ore”, il prossimo 25 settembre la Commissione europea (in particolare la Direzione della stabilità finanziaria e dei mercati dei capitali) ha organizzato una tavola rotonda con vari player nazionali per parlare, tra l’altro, della costituzione di un bad bank europea, nella forma di un network continentale, per la gestione degli Npl. Peraltro, già da alcuni mesi, specie su input della Bce, nei corridoi degli organismi Ue si discute di un progetto del genere. La motivazione sottostante a tale iniziativa è data dalla presumibile crescita, nel prossimo futuro, dei crediti deteriorati dovuta alla crisi economica innescata dalla pandemia da Covid 19. Visto l’esperienza della recessione degli anni 2008/2016, le autorità nazionali e continentali vorrebbero evitare nuovi dissesti dei bilanci bancari o, quantomeno, ulteriori impedimenti all’erogazione del credito alle imprese ed ai cittadini. Tra l’altro è bene sottolineare che, secondo alcuni osservatori (Reuters, Oliver Wyman ecc.), si prevede che l’attuale crisi produrrà crediti deteriorati in Europa nell’ordine di 4/500 mld di Euro che potranno raddoppiarsi in caso di una seconda ondata della pandemia. Il “caso Italia” tra l’altro potrebbe subire un colpo particolarmente duro visto, ad esempio, che la moratoria sul credito bancario, deliberato alcuni mesi orsono dal Governo, ha fatto segnare a luglio già 260 mld di crediti “congelati” (4 volte più della Spagna, altro paese fortemente interessato dal Covid), di cui circa 170 riguardanti le Pmi. Tale “congelamento” durerà fino a gennaio 2021, successivamente si rischia una seria deflagrazione con annessa esplosione di npl. Seppur le banche del vecchio continente da inizio pandemia hanno già prudenzialmente accantonato in bilancio circa 60 mld di euro per far fronte al futuro presumibile peggioramento della capacità di rimborso dei creditori, è evidente che, in relazione agli scenari sopra delineati, la creazione di una bad bank europea, che provveda ad acquistare gli Npl a valore di mercato o quanto meno ad un prezzo vicino al valore di libro, permetterebbe di ridurre al minimo le perdite per il settore bancario. Peraltro, c’è altresì da sottolineare che un’iniziativa del genere si scontra con la normativa esistente ed in particolare con la Direttiva Brrd che fa del Bail in il suo fondamento, cioè il principio secondo il quale – per evitare il cosiddetto azzardo morale - eventuali aiuti pubblici alle banche sono possibili solo successivamente alla contabilizzazione di perdite in capo agli azionisti, obbligazionisti e parte dei correntisti.  In proposito, a giudizio di chi scrive, lo scenario della pandemia suggerisce, finalmente, una decisa riforma della normativa europea sui salvataggi bancarii visto gli scarsi risultati raggiunti e tenuto conto di un contesto economico attuale minato non tanto dalla scelta degli operatori quanto piuttosto da fattori esterni (il Covid, appunto).
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La Newsletter della Fisac Cgil Toscana - Numero 41 - Ottobre 2020
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La Toscana è la toscana No ad avventure di Daniele Quiriconi Il voto del 20-21 settembre scorsi, ha certificato ancora una volta che la Toscana non è terra di conquista da parte di forze, movimenti o parole d’ordine in contrasto con la storia della regione. Al di là delle opinioni sulla crisi della politica, sulle modalità di selezione della classe dirigente, sulle liste elettorali, il rischio di far governare la regione ad esponenti politici, che per quanto diventati moderati nelle ultime settimane, hanno lasciato dietro di sé ( il web non perdona) una scia di dichiarazioni che ne testimoniano la distanza dal sentire prevalente di una regione dove tolleranza non è un concetto astratto, ha fatto la differenza. Anche la gestione della pandemia, purtroppo tuttora molto preoccupante, per i riflessi sanitari, economici, di organizzazione sociale che comporta, non ha indotto a salti nel vuoto.  Una destra che legge nei decreti sulle mascherine, la limitazione delle libertà, che si lascia andare a cori da stadio quando manca il numero legale per il voto sui provvedimenti per il contrasto dell’emergenza COVID, non solo non si distanzia dai propri leader di riferimento globali (da Bolsonaro a Trump) ma propone un’idea di governo che, almeno dalle nostre parti, sa solo di spregiudicato avventurismo. Certo anche in Toscana le differenze e i problemi restano molti. Il voto le riflette nel rapporto tra diversi gradi di benessere economico, tra aree metropolitane o interne e la politica, l’Amministrazione pubblica e le rappresentanze economiche e sociali ( noi tra queste) dovranno saperle affrontare e risolvere. Ci aspettano mesi duri nei quali, il rigore, la serietà, il rispetto degli altri, dovranno essere la cifra dei Governi, delle Istituzioni europee, dei rappresentanti dei diversi interessi. I toni di molte associazioni di impresa paiono sguaiati e fuori sincrono rispetto alla realtà. I lavoratori e le lavoratrici, compresi tanti bancari e assicurativi, hanno continuato a lavorare (non solo in smart working) anche quando i DPI erano perfetti sconosciuti; ancor più i lavoratori della logistica, della catena alimentare e soprattutto della sanità. Bisogna riconoscerlo sempre! Ed è giusto ricordarlo, specie di fronte al vittimismo di alcune categorie (piccole e grandi) . Si esce tutti insieme da un’emergenza che prima di tutto è sanitaria e poi economica e sociale. Ma cooperando e riconoscendo le ragioni degli altri e il drammatico contesto in cui siamo. Una cosa comunque è apparsa ancor più chiara in questi mesi: il suono ridicolo delle parole d’ordine nazionaliste e sovraniste in un modo cosi interconnesso come quello contemporaneo. Gli egoismi non servono. In Toscana gli elettori lo hanno capito.
 Next Generation e risparmi privati, la grande occasione  per cambiare modello di Sviluppo di Yuri Domenici Lo scorso 29 settembre, presso la Camera del lavoro di Firenze, si è svolto il convegno “La Città Metropolitana che vogliamo – Quale finanza per lo sviluppo del territorio? Nuovi fondi europei e strumenti privati a sostegno dell’economia e dell’occupazione”, organizzato da Fisac Cgil e Cgil Firenze. Secondo lo studio ISRF Lab, l’area metropolitana di Firenze è uscita bene dalla precedente crisi, grazie al traino dell’industria turistica e dell’export. Tuttavia, proprio questi due settori sono quelli maggiormente colpiti in questa fase. Nel lockdown, in provincia di Firenze, il dato dell’incremento della CIG è uno dei più alti d’Italia: +2.223,7% di ore autorizzate tra aprile 2020 e la media di aprile 2009-2014. I rischi per l’occupazione a Firenze, in assoluto, sono i più alti della Toscana: tra 2020 e 2021 si potrebbero perdere tra i 20mila e i 25mila posti di lavoro. Sempre durante il lockdown, i depositi bancari e postali a Firenze, tra marzo e aprile, sono cresciuti di 804 milioni di euro, mentre, grazie al Decreto liquidità del Governo, sono già 23.855 i finanziamenti erogati ai nostri sportelli, a favore delle imprese del nostro territorio. L’importo totale erogato è superiore un miliardo e 800 milioni di euro, mentre l’importo finanziato medio è sui 76.000 euro, inferiore solo a Prato e Pisa in Toscana. Proprio rispetto all’incremento dei depositi e agli effetti del DL liquidità, la FISAC CGIL di Firenze ha rilanciato la proposta secondo cui, attraverso garanzie pubbliche, sarebbe possibile incentivare l’utilizzo dei risparmi privati verso investimenti a capitale e rendimento minimo garantito, per finanziare opere di pubblica utilità quali infrastrutture di base, scuole, ospedali al fine di favorire il rilancio dell’occupazione e la riqualificazione delle infrastrutture pubbliche. Un ruolo fondamentale, in tal senso, dovrebbe assumerlo FIDI TOSCANA, la finanziaria regionale la cui sede è nell’area metropolitana e che in passato è stata partner di aziende in crisi oltre che garante, negli ultimi anni, di microcredito su quasi 20.000 finanziamenti. FIDI TOSCANA può far parte di un quadro complessivo di riordino delle partecipate regionali e può assumere un ruolo cardine nella nascente Agenzia per lo Sviluppo, anche nell’emissione e nella gestione di nuovi strumenti finanziari come Green Bond e più in generali strumenti finanziari sostenibili. In questo modo si favorirebbe finalmente il finanziamento diretto sul mercato dei nostri distretti industriali, costituiti per lo più da piccole aziende familiari, e quindi troppo piccole per raccogliere capitale sul mercato da sole. L’unico vincolo richiesto al nostro tessuto industriale sarebbe proprio quello di porsi obiettivi di riconversione economica in senso ambientale e di profilo sociale. Secondo la Cgil e la Fisac Cgil, che hanno rivolto un appello alla Città Metropolitana, serve un nuovo modello di sviluppo più sostenibile per Firenze. L’era del turismo senza regole è probabilmente alle nostre spalle. Il tessuto urbano della città ed in particolare il suo centro necessitano di un’azione coraggiosa di rigenerazione sociale che si ponga l’obiettivo di rendere nuovamente fruibile questa parte di città anche ai cittadini della città metropolitana. In contemporanea, i distretti industriali necessitano di un accompagnamento forte per superare indenni la crisi: ciò non sarà possibile in assenza di politiche virtuose che tendano a renderli meno dipendenti dalla domanda estera, oltre che a razionalizzare le filiere. Le nostre priorità come Cgil sono piuttosto chiare: rilancio della sanità territoriale, investimenti sulla scuola, housing sociale, un turismo più collegato alla fruibilità culturale, sviluppo delle infrastrutture materiali ed immateriali. Il tutto, a partire da un rilancio del ruolo della Città metropolitana e da una riflessione oggi più che mai necessaria sui cambiamenti normativi necessari per rendere davvero funzionante quest’ente.
Intesa Sanpaolo: non solo uscite di Elena Cherubini L’esito dell’offerta pubblica di scambio azionario, poi trasformatasi in offerta pubblica di acquisto e scambio, che il Gruppo IntesaSanpaolo (ISP) ha esercitato sul Gruppo UBI (Unione Banche Italiane) nei mesi scorsi, oltre a rappresentare un’operazione che consolida IntesaSanpaolo come prima banca del paese e la rende nell’Eurozona seconda per capitalizzazione e sesta per rendimento operativo, determina una serie di conseguenze che dovranno essere discusse, approfondite e contrattate dal tavolo sindacale: l’impatto sul personale, già provato da condizioni di lavoro in forte cambiamento per l’emergenza sanitaria ancora in corso, sarà infatti sicuramente di rilievo. Le fasi dell’integrazione del gruppo UBI in ISP prevedono infatti la riduzione graduale della forza lavoro con l’uscita volontaria di 5000 persone entro il 2023 e la contestuale assunzione di 2500 giovani, la cessione di ramo d’azienda al gruppo BPER, terzo gruppo bancario italiano, richiesta dalle autorità preposte alla vigilanza sull’antitrust (che riguarderà 532 filiali tra fine febbraio e giugno 2021), e la fusione per incorporazione del gruppo UBI in ISP prevista ad aprile 2021. Si tratta di fasi che richiedono al sindacato di essere parte attiva ai tavoli di trattativa. Il 29 settembre è stato intanto firmato l’accordo per permettere ai 5000 colleghi in uscita di accedere al prepensionamento tramite l’utilizzo del fondo di solidarietà di settore o alla pensione se maturata entro il 2022. Un accordo che investe anche la nostra regione dove gli aventi diritto all’esodo o al pensionamento incentivato sono in totale fra i due gruppi 537 (compresi gli aderenti al vecchio accordo), di cui 317 in servizio nella rete filiali. Essere riusciti ad impegnare l’Azienda ad assumere più persone nei settori dove la carenza di organico è più forte (le filiali) e nelle zone più svantaggiate del paese, rappresenta sicuramente un buon punto di partenza, ma dovremo comunque utilizzare i previsti incontri di verifica con l’Azienda affinché lavoratrici e lavoratori della rete vengano quanto prima alleggeriti dagli attuali carichi di lavoro. Nelle prossime settimane si aprirà poi la procedura di cessione che ci vedrà impegnati a tutelare coloro che passeranno alle dipendenze del gruppo BPER, garantendo loro il mantenimento di diritti e tutele essenziali per la futura integrazione contrattuale. La definizione del perimetro delle attività cedute, che potrebbero andare oltre gli organici delle filiali e coinvolgere la filiera collegata, è elemento fondamentale e dovrebbe essere resa pubblica a breve. Questo ci consentira’ di iniziare a stimare anche l’impatto dell’operazione nella nostra Regione. E’ facile immaginare che la provincia di Arezzo (sede della ex banca Etruria poi confluita in UBI) sia particolarmente coinvolta. Ma occorrono dati certi per valutare le possibili ricadute concrete sulle condizioni di vita e di lavoro delle persone. Inoltre, con la presenza ad Arezzo di una ex sede centrale, la preoccupazione è forte anche rispetto alle circa 400 persone che svolgono attività di direzione e per le quali vanno evitati svantaggi derivanti da mobilità geografica o professionale, considerato che le modalità di lavoro agile, ormai ben consolidate e diffuse in IntesaSanpaolo, possono rappresentare uno strumento utile. Come Fisac Cgil rivendichiamo comunque che devono essere le lavorazioni ad essere traferite laddove ci sono colleghe e colleghi, e non viceversa. Infine, entro aprile 2021, dovremo integrare la contrattazione di secondo livello dei due gruppi, cercando di armonizzare trattamenti economici e normativi valorizzando quello che è stato conquistato negli anni nelle due Aziende. In questo momento stiamo procedendo, insieme a compagne e compagni di UBI. E BPER, allo studio e alla comparazione delle normative in vigore in modo da arrivare a una sintesi che rappresenti un concreto strumento di lavoro durante le trattative. E soprattutto in modo da conoscersi e avviare un proficua collaborazione che ci consenta di tutelare e rappresentare al meglio lavoratrici e lavoratori che avranno provenienze e storie professionali diverse, ma lavoreranno insieme con le stesse problematiche molto presto!