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Fruendo:  Stranger Things di Alessio Atrei C’è una parola sussurrata e temuta in tante, troppe vicende del mondo bancario di oggi, dove un po’ dovunque soffia forte il vento del cambiamento tecnologico, della digitalizzazione, dell’intelligenza artificiale. La tecnologia, come sempre, non è che un utensile nella mano di chi decide come usarla; così questo vento porta con sé ovunque anche il seme della esternalizzazione, per farlo germogliare nei fertili territori della innovazione tecnologica come se fossero due cose legate fra loro. Lì dove arriva, quella parola sussurrata è il nostro nome, Fruendo: ormai da anni siamo la pietra di paragone del come-non-si-deve-fare, ma che si tenta ancora sempre di fare. Da nove anni viviamo in questo sottosopra, che cresce ed evolve. Un mondo fatto di poche regole e poche certezze, ma di molti interessi nuovi e lontani di aziende multinazionali, come quella che ci ha definitivamente acquisiti due anni fa: Accenture. Accenture è leader nella consulenza e nella innovazione tecnologica in ogni settore dell’economia; dei 600.000 dipendenti in tutto il mondo, 16.000 sono in Italia, una delle realtà più consolidate. Di tutti i business di cui si occupa, il banking e insurance è di gran lunga il n.1. E l’Italia ha un ruolo centrale proprio in questa strategia. Noi siamo lì: una azienda legalmente separata e dedicata al singolo cliente MPS, ma sempre più integrata in quel sistema in cui AFAST è il centro delle operations per il sistema bancario italiano. Bancari, sì, come quelli che provengono da storie come la nostra, ma non solo. Ci sono lavoratori con almeno 3 diversi CCNL, con rappresentanze sindacali sporadiche. 
Accenture impiega sempre più persone, ma noi viviamo un processo di costante svuotamento per cui il nostro numero diminuisce ogni giorno (eravamo 1068, siamo 270). Circa altri 270 colleghi MPS sono ancora con noi: da distaccati, in virtù della loro vittoria legale, ma per dieci anni, in virtù di un contratto di rete. Tutte le altre uscite sono state sostituite inizialmente da alcune nuove assunzioni, poi soprattutto da interinali a brevissimo termine e, via via, da automazioni e intelligenze artificiali. Che avranno sì bisogno di esperti e controllori, come dicono quando ci rassicurano sulla tenuta occupazionale complessiva, ma che non saranno bancari. Una falla aperta nell’area contrattuale. La storia che ci ha portato fin qua ci ha però lasciato qualcosa. Ci ha consentito di mantenere viva e organizzata la rappresentanza sindacale, dove la FISAC in particolare riesce a includere e rappresentare anche i giovani assunti. Con fatica, ma abbiamo un dialogo fitto e frequente, che ci sta portando ad avere un accordo sullo smart working, un rinnovo del CIA, RLS in ogni polo. Quello che manca è un piano industriale, una strategia di medio termine. La vicenda del cliente MPS certo non aiuta, intanto però viviamo una quotidianità di pressioni lavorative su personale sempre più ridotto, con le sole piccole automazioni che un cliente in bilico può consentire, in poli sempre più ridotti, con una azienda che ti canta - in inglese - le virtù del 5g e del metaverso mentre sei costretto a lavorare le stesse pratiche di prima. In attesa, ancora, che si sani quella ferita iniziale delle mancate garanzie nella esternalizzazione, tuttora solo promesse. Uno scenario che rischia di portare presto ad una nuova stagione di contenziosi legali. In mezzo a tutti questi venti, quello che stiamo cercando di fare è di fare attecchire e fiorire qui anche la nostra bella pianta: la rappresentanza sindacale organizzata. Per chi resta, per chi ci è d’intorno, per chi potrebbe arrivare. Perché siamo tutti lavoratori.
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La Newsletter della Fisac Cgil Toscana - Numero 46 - marzo 2022
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MPS: quali scenari con il nuovo Amministratore Delegato?    
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BNL, la straordinaria risposta di lavoratrici e lavoratori 
Smart Working Class: il 14 marzo a Siena la presentazione del nuovo libro di Pippo Russo
MPS:  Quali scenari con il nuovo Amministratore Delegato? di Federico Di Marcello Dopo la presentazione del piano strategico 2022-2026 da parte dell’allora amministratore delegato Guido Bastianini, nel dicembre 2021, sembrava che per i Lavoratori di Banca MPS potesse esserci un periodo di relativa tranquillità. Per quanto privo di dettagli, quanto scritto nelle linee guida del Piano, unico documento ufficiale reso finora pubblico, sembrava infatti compatibile con gli obiettivi da sempre perseguiti dal coordinamento Fisac MPS, in particolare lo sviluppo della banca attraverso la valorizzazione delle persone, la tutela dell’occupazione e la salvaguardia del perimetro aziendale. Nei primi giorni di febbraio, il piano strategico, peraltro mai validato dalle competenti funzioni dell’Unione europea, appare già superato con l’avvicendamento per volontà del Ministero dell’economia e finanze di Bastianini con il nuovo A.D. Luigi Lovaglio, avvenuto, con modalità quantomeno discutibili, presumibilmente perché in disaccordo con il piano in ottica “stand alone”. Preso atto del fulmineo cambio al vertice, le organizzazioni sindacali aziendali hanno incontrato Lovaglio. Il primo incontro ha avuto ovviamente carattere interlocutorio e l’amministratore delegato ha esplicitato il bisogno di disporre di tempo per conoscere la situazione della banca e studiarne le strategie. Abbiamo comunque colto l’occasione per ribadire la necessità di conoscere al più presto la progettualità che ha in mente per Banca MPS e che la Fisac non sarà disposta a condividere progetti estemporanei che non siano frutto di una logica di crescita e sviluppo e che non siano il prodotto di un disegno complessivo che garantisca sostenibilità economica, finanziaria e soprattutto sociale. Nessuno può infatti pensare di scrivere un nuovo Piano strategico che preveda sacrifici a senso unico, esuberi basati meramente su logiche economiche, tagli indiscriminati del costo del lavoro e mobilità territoriale e professionale senza controllo. Nessuno può pensare di smembrare la banca più antica del mondo e di far pagare il prezzo di anni di scelte politiche ed industriali sbagliate ai Lavoratori, che invece l’hanno tenuta in piedi nonostante tutto. Il futuro di MPS e dei suoi 21.000 Lavoratori passa anche per la necessaria interlocuzione che tutti, compreso il MEF, proprietario di oltre il 64% del capitale azionario, devono garantire per chiarie le strategie future, in particolar modo riguardo i tempi di permanenza nel capitale azionario da parte dello Stato ed i tempi e l’entità dell’annunciato aumento di capitale di cui la banca sembra aver bisogno. Se non per dovere di trasparenza, dovranno farlo per il dovuto rispetto al lavoro svolto dalle donne e dagli uomini che hanno reso grande MPS.
Unicredit: l’accordo sul nuovo piano industriale  di Francesco Franceschi Lo scorso 27 gennaio le Organizzazioni Sindacali di UniCredit e l’Azienda hanno sottoscritto un importante accordo che regolamenta le ricadute del nuovo Piano industriale – denominato “UniCredit unlocked 2022-2024” – presentato alla comunità finanziaria il 9 dicembre 2021 dall’A.D. del Gruppo, Andrea Orcel, e che ha destato tra gli investitori grande interesse anche per gli obiettivi di crescita annunciati: oltre 17 miliardi di euro di ricavi al 2024 contro i 16 del 2021 con un rapporto tra costi e ricavi in discesa dal 56% al 50% oltre alla previsione, in “arco piano” (2021-2024), di una distribuzione di 16 miliardi di utili tra dividendi e buyback azionario (riacquisto di azioni proprie). Il Piano di UniCredit - secondo gruppo bancario in Italia e presente in altre 18 nazioni - rappresenta una “rottura” con la precedente gestione manageriale. In controtendenza con quanto accade nella stragrande maggioranza delle altre aziende di credito, prevede un rilancio strutturale delle Filiali attraverso assunzioni mirate. Prevista anche una “importante” razionalizzazione delle strutture centrali di back office e di governo oltre ad un ulteriore massiccio investimento nel digitale (rafforzando i progetti già avviati e in linea con l’orientamento di settore). L’intesa sottoscritta dal Sindacato aziendale consente un ricambio generazionale che migliora il rapporto di 1 a 2 (una assunzione ogni due uscite) che ha caratterizzato gli ultimi accordi di settore. Infatti a fronte dell’uscita volontaria di 1.200 lavoratrici e lavoratori (pensionamenti diretti incentivati per chi matura la prima finestra pensionistica entro il 1° gennaio 2025 e accesso al Fondo di Solidarietà per chi la matura entro il 2028) sono previsti 725 nuovi ingressi di giovani (quasi tutti nelle Filiali “fisiche”) oltre alla stabilizzazione di circa 1.000 apprendisti. Una boccata di ossigeno non irrilevante per chi lavora in Rete, perennemente caratterizzata da una carenza strutturale di organici e da pesanti carichi di lavoro. Oltre all’importante capitolo della “nuova e buona occupazione”, l’accordo prevede anche un percorso “a tappe” su altre tematiche di rilievo: formazione, con adeguati percorsi formativi nei casi di riconversione e riqualificazione professionale; inquadramenti, con l’impegno ad addivenire ad un accordo per le nuove figure professionali di Rete e di UniCredit Services (società di servizi del Gruppo); assistenza sanitaria integrativa, con un approfondimento sull’intera tematica della salute; politiche commerciali, con la previsione di un confronto a livello di Commissione centrale per valutare l'impatto dei nuovi strumenti informatici e le infrazioni agli accordi sottoscritti. Confermato l’impegno aziendale di investire nella multipolarità nel Mezzogiorno (poli Campania e Sicilia).  A latere dell’intesa sull’occupazione è stato sottoscritto l’accordo sul “Premio Una Tantum di Produttività 2021” (ex VAP, con erogazione nel 2022) che prevede, a scelta della/del lavoratrice/lavoratore: • € 1.430 se si opta per la destinazione a “conto welfare” (accredito nel mese di luglio 2022) con un significativo aumento di oltre il 40% rispetto all’anno precedente; € • 880 se si preferisce optare per il “cash” (accredito in busta paga nel mese di giugno 2022 con applicazione di imposta sostitutiva al 10% per la quota prevista dalla legge in tema di sistema premiale) con un aumento di circa il 15% sull’anno scorso. Come per il passato, rimane a totale carico dell’Azienda (indipendentemente dalla scelta) l’onere connesso alla quota base riguardante le coperture collettive odontoiatriche per l’anno 2022 pari a € 88,70. Confermata anche la possibilità di utilizzare l’importo destinato a conto welfare per “l’acquisto” di “welfare days” (fino ad un massimo di 5 giorni), permessi fruibili anche a ore. Entrambe le intese sottoscritte rappresentano il raggiungimento di due importanti obiettivi: un cambio di rotta sul tema occupazionale con un ricambio generazionale che prevede l’ingresso di giovani prevalentemente nella Rete fisica delle Filiali (attraverso un rapporto entrate/uscite che migliora quello finora applicato nel settore) ed un equo riconoscimento economico (Premio Una Tantum di Produttività 2021) del contributo determinante delle lavoratrici e dei lavoratori al raggiungimento dei risultati aziendali.
Intesa SanPaolo: il nuovo piano industriale   di Elena Cherubini Lo scorso 4 febbraio il Gruppo Intesasanpaolo, attraverso le parole del Chief Executive Officer Carlo Messina, ha presentato ai mercati e alla stampa (e contemporaneamente alle organizzazioni sindacali) il piano d’impresa 2022-2025 dal titolo “Leader nel wealth management, protection & advisory – zero NPL, digitale e focalizzato sulle commissioni”. Il principale istituto bancario del paese, che è anche il datore di lavoro privato italiano con più dipendenti (circa 89.000 in totale di cui circa 65.000 nel perimetro Italia al 31122019) si pone con questo piano obiettivi ambiziosi e in sostanziale continuità con quelli del piano precedente che molto sinteticamente si possono riassumere in: de-risking: abbattimento strutturale del costo del rischio di credito con un quasi totale azzeramento degli NPL; riduzione strutturale dei costi (0,6 mld in arco di piano) tramite il trasferimento al digitale di rapporti con la clientela e di filiali (con la previsione di chiusure/accorpamenti per circa 1000 punti operativi) e la riconversione lavorativa di 8000 colleghi e colleghe; crescita dei ricavi da commissioni, tramite la multicanalità, il rafforzamento del modello di servizio dedicato alla clientela con bisogni di consulenza più complessi (exclusive, private, corporate) e la partnership con soggetti esterni che offrono servizi consulenziali e di pagamento; impegno ad agire, sia attraverso il supporto ai bisogni sociali e culturali, sia attraverso il credito indirizzato al no-profit, per migliorare la sostenibilità, in particolare quella ambientale, investendo nella riduzione delle emissioni In queste settimane, dopo l’incontro del 14 febbraio con il Responsabile della Divisione Banca dei Territori (definita il “cuore pulsante della Banca”), avremo modo di interloquire anche con i Responsabili di tutte le altre Divisioni in incontri che auspichiamo siano utili a capire meglio gli effetti concreti del piano sulle condizioni di lavoro delle persone e le loro tempistiche. Non mancano le preoccupazioni, dal momento che la prima operazione preannunciata, e per la quale si attende la comunicazione ufficiale e il conseguente avvio della procedura di legge e di contratto, riguarda l’esternalizzazione di attività che fanno capo a ISP Formazione con circa 160 dipendenti coinvolti. Una decisione che trova le organizzazioni sindacali contrarie e che oltretutto tocca il cuore di un’attività, che necessita sempre più di competenze complesse e soprattutto della consapevolezza delle conseguenze e dei rischi che ad esempio la vendita o l’offerta errata di prodotti finanziari, assicurativi, consulenziali può generare. La previsione di 8000 persone da “riconvertire” rende necessario formare, accompagnare, affiancare: Intesasanpaolo sarà in grado di cambiare la rotta rispetto all’esperienza passata in cui troppo spesso (se non sempre) i processi formativi sono arrivati in ritardo e in modo insufficiente rispetto al cambiamento? Ma tutto il piano industriale delinea e prefigura una Banca completamente ridisegnata, che richiederà al personale ulteriori cambiamenti, capacità di adattamento e impegno che Intesasanpaolo dovrà adeguatamente riconoscere e retribuire. Un piano dunque che non avrà successo senza un adeguato e corretto coinvolgimento delle persone (che non basta aver “intervistato” prima della stesura del piano): se i vertici aziendali vorranno “tenere a bordo le persone”, dovranno essere drasticamente migliorate le modalità comunicative verso colleghe e colleghi (in particolare della rete) oggi troppo spesso ancora considerati semplici pedine a cui richiedere, spesso dimenticando il rispetto della persona che lo stesso Piano mette al centro, budget di vendita da realizzare in tempi incongrui, con modalità inopportune e contrarie agli accordi sottoscritti con le organizzazioni sindacali. Quale sarà l’impatto sulle persone del focus sui ricavi da commissioni e delle previsioni di abbattimento del rapporto cost/income al 46%? I numeri e le strategie del piano d’impresa 2022-2025 amplificano e rendono definitivo un cambiamento avviato e sicuramente accelerato (nella transizione al digitale, nella diffusione massiva del lavoro flessibile) dalla fase pandemica iniziata nel 2020. Per questo l’impressione è quella di una vera e propria rivoluzione per la quale si aprono interrogativi e scenari che richiederanno molti approfondimenti sia dal punto di vista delle lavoratrici e lavoratori del Gruppo che dal punto di vista della collettività (territori, imprese, famiglie). La creazione della nuova banca digitale Isy Bank prevede una separatezza e completa diversità di gestione di quella fascia di clientela (ad oggi circa 4 milioni) che si pensa, sulla base del comportamento rilevato e dell’età, non necessiti della filiale tradizionale. In un paese in cui si registrano disuguaglianze reddituali superiori alla media europea, con una divaricazione geografica del tasso di occupazione fra nord e sud, si decide di offrire servizi diversi ed evidentemente di diversa qualità a una fascia di clientela che non è detto sia omogenea al suo interno. Parallelemente alla scelta di mantenere filiali fino a una media di 10 km l’una dall’altra e ridurne fortemente il numero, potrebbe venir meno un servizio finanziario essenziale alla cittadinanza, in particolare alle fasce economicamente più deboli meno istruite e meno tecnologiche. L’obiettivo di abbattere strutturalmente il costo del rischio di credito, sia con ulteriori cessioni ad altri partner degli stock di crediti deteriorati, sia attraverso una continua prudente gestione del credito, “indirizzando le nuove erogazioni verso settori con miglior profilo di rischio-rendimento”, desta non poche preoccupazioni: molte famiglie e soprattutto sempre più aziende e piccole imprese potrebbero non superare la selezione e non essere “bancabili”? In un paese fatto di piccola e media impresa su cui si impianta la stragrande maggioranza dei posti di lavoro, e tristemente caratterizzato da sacche sempre più diffuse da nord a sud di criminalità organizzata pronta ad intervenire, è opportuno porsi anche queste domande. Inoltre, la partnership con Intrum e Prelios (che ISP intende rafforzare) richiama le sofferte esternalizzazioni di lavorazioni e lavoratori/lavoratrici del 2018. Il focus sul digitale e sulla riduzione degli spazi fisici della banca genera un impatto indiretto sulle collettività locali in termini di posti di lavoro indotti (pulizie e guardianie) cui sono adibiti lavoratori ma più spesso lavoratrici con contratti più deboli e retribuzioni più basse. Per la FISAC CGIL contrattazione inclusiva significa richiedere alla banca del paese un impegno anche in questa direzione. Altro elemento di riflessione, collegato alla scelta del piano di abbattere le emissioni dirette della Banca (“net zero sulle emissioni proprie entro il 2030”), riguarda la difficoltà di misurare un reale ed effettivo impatto positivo nei confronti della collettività: la trasformazione del lavoro diversifica e moltiplica le fonti di emissione di CO2 (basti pensare alle numerose postazioni di lavoro che si trasferiscono nelle abitazioni private con il lavoro flessibile) ma non abbatte automaticamente il costo in termini di salute collettiva. Dal punto di vista delle nostre colleghe e colleghi, occorrerà appena possibile contrattare condizioni economiche e normative del lavoro flessibile (buoni pasto, salute e sicurezza), che il piano intende incentivare e diffondere. Infine la “Banca del Paese” si caratterizza sempre di più con questo piano come multinazionale, puntando a diventare “banca leader in Europa per il prossimo decennio”. La dimensione internazionale della tutela dei diritti e del lavoro, rappresenta per la Cgil e per la Fisac un obiettivo concreto di inclusione di lavoratrici e lavoratori che in paesi diversi fanno lo stesso lavoro. Occorre rilevare ancora come la Banca neghi alle sue persone il diritto di avere un luogo di ascolto e informazione unico per tutto il Gruppo (CAE), anche in relazione ad un piano d’impresa cosi complesso, che chiede comunque a tutte le persone impegno e comprensione degli obiettivi affinché essi possano essere realizzati al meglio.
Carige: tutto a  1 euro   di Sabrina Marricchi Sembra finalmente a una svolta la complicata situazione del Gruppo Carige, che vede nell’offerta di Bper, giunta dopo intense settimane di due diligence, la possibile conclusione di un percorso che negli ultimi otto anni ha visto accavallarsi svariati aumenti di capitale e amministratori delegati, quattro piani industriali quadriennali, cessioni di rami d’azienda e società del gruppo, un commissariamento BCE e notevoli sacrifici dei dipendenti. Il Fondo interbancario di tutela dei depositi e lo schema volontario del Fondo hanno infatti approvato la seconda offerta della banca emiliana che, al prezzo simbolico di 1 euro, acquisirà la partecipazione del Fidt in Carige - pari all’80% - e del prestito subordinato emesso da Carige nel 2018 per un corrispettivo di 5 milioni, pari al valore nominale. Preventivamente però il Fidt dovrà procedere a una ricapitalizzazione di Carige per 530 milioni, cifra pari alla metà della prima richiesta di Bper. A seguire, Bper lancerà un’opa sul restante 20% (di cui l’8% in mano a una vecchia pretendente, Ccb) al prezzo di 0,8 eur ad azione (titolo da poco tornato in Piazza Affari). L’acquisizione dovrà essere completata entro il 30 giugno in modo che la banca modenese possa avvalersi dei 370 milioni di benefici fiscali che, aggiunti all’intervento del Fondo, dovrebbero coprire i costi di di integrazione di Carige, tra i quali vanno annoverate le penali legate all’eventuale scioglimento di accordi commerciali attualmente in essere. Fermo restando che si attendono le autorizzazioni di BCE e Antitrust, come Fisac CGIL non possiamo che esprimere una valutazione cautamente positiva su una prospettiva che è di tipo industriale. Solo pochi anni fa’ ci mobilitammo infatti contro l’ipotesi di acquisizione del Gruppo da parte di un fondo speculativo. È però ovvio che si potrà procedere a un giudizio più approfondito sull’operazione solo con il piano industriale alla mano e sulla base delle ricadute che verranno determinate dalla sua applicazione. Dovranno essere ridotti al minimo gli impatti sul personale in termini di riduzione dei costi, di mobilità (territoriale e professionale) e di integrazione contrattuale. L’acquisizione a 1 euro non rappresenta infatti minimamente gli sforzi che colleghi e colleghe hanno profuso negli anni in difesa di un istituto che deve le sue vicissitudini soltanto a cattive gestioni. Colleghi e colleghe che, pronti a gestire anche questo momento di transizione, vedono ora più che mai inasprirsi le pressioni esercitate dalle funzioni commerciali, desiderose di un buon accreditamento agli occhi della nuova proprietà. Non va inoltre dimenticato che Carige riveste in Liguria una importanza strategica e che le scelte sui modi in cui il processo industriale di fusione verrà portato a termine sono determinanti rispetto al futuro delle centinaia di persone che lavorano presso le sedi e della già travagliata economia della regione.  E, se la penetrazione territoriale è complementare tra i due gruppi nelle rispettive regioni di appartenenza, la Toscana conta un numero di sportelli non dissimile (Carige 55 e Bper 48), seppur articolato diversamente sulle varie province. Lo scenario toscano, che vede anche la presenza di Banca del Monte di Lucca all’interno del Gruppo Carige, rappresenta una particolarità nell’ambito di questa unione industriale. Come sindacato ci aspettiamo che le scelte dell’acquirente vadano nel senso del mantenimento di una importante presenza sul territorio, che potrebbe avere ricadute positive anche rispetto alla mobilità, e non verso dannose chiusure e abbandono di territori. Allo stesso tempo sarà cruciale anche la gestione delle conseguenze su lavoratrici e lavoratori che nel marzo del 2018 -in applicazione del piano industriale del dicembre 2017- sono stati ceduti nei rami d’azienda dell’Ict e degli Npl, e per i quali esistono clausole che prevedono il loro rientro qualora dovessero verificarsi tensioni occupazionali legate alla eventuale rescissione del contratto da parte della nuova acquirente. Analoga situazione riguarda coloro che, seppur dipendenti Carige, lavoravano in distacco presso Creditis - società di credito al consumo poi ceduta a Chenavari.
BNL,  la straordinaria risposta di lavoratrici e lavoratori   di Laura Marchini Nell’estate 2021 si rincorrono le voci di un imponente piano industriale 2022-2025 per BNL, banca con poco meno di 12mila dipendenti afferente al primo gruppo bancario europeo Bnp Paribas. Le OO.SS. chiedono conto dei “rumors” su possibili esternalizzazioni del personale ma la banca non smentisce e viene proclamato lo stato di agitazione con comunicati stampa, volantini sindacali e presidi nelle principali piazze italiane. In autunno l’AD di BNL, nominato solo qualche mese prima, presenta il piano ai sindacati assicurando dialogo e rimarcando il valore della concertazione ma già dalle prime battute le sue dichiarazioni non trovano riscontro nell’agire delle relazioni industriali. Le esternalizzazioni sono nel piano e sono tante, riguardano parte del servizio IT e del back office, coinvolgono quasi il 10% della forza lavoro dell’istituto e si configurano come cessioni di ramo a SRL neo costituite che fanno capo (almeno al momento) a grandi multinazionali, Cap gemini e Accenture. Insieme a questo il piano prevede la chiusura di 135 agenzie nel 2022 e altre in numero imprecisato nei successivi 2 anni, un cambio di modello che porterà a mobilità geografica e funzionale dei dipendenti, spesso tradotta in demansionamenti, e a zero assunzioni in rete per tre anni a fronte dell’ingresso di partite IVA. Un vero e proprio piano di precarizzazione del lavoro in uno scenario che vede ottime trimestrali per BNL e per la casa madre un incasso di 15 miliardi riveniente dalla vendita di Bank of West negli USA. Non c’è quindi il contesto economico da usare come pretesto o giustificazione ma solo scelte manageriali scellerate che mettono da parte i bisogni dei lavoratori, del territorio e della clientela con l’unico obiettivo di remunerare maggiormente il capitale. La BNL resta sorda alle richieste del tavolo sindacale che, unito a 5 sigle, chiede una soluzione complessiva facendo proposte alternative come l’utilizzo dell’istituto del distacco, un piano di esodi, una riconversione delle risorse attraverso la formazione. Con una Banca che nega i principi della concertazione e si tira indietro di fronte a possibili mediazioni con una sorta di “è il capitalismo, bellezza!”, la risposta di lavoratrici e lavoratori organizzati è stata straordinaria con due giornate di sciopero in meno di un mese. Entrambe le date di astensione dal lavoro (27/12/21 e 24/1/22) sono state anticipate da grandi tornate assembleari su tutto il territorio nazionale largamente partecipate. Gli scioperi hanno visto un’importante adesione nonostante difficoltà esogene, come le restrizioni dovute alla pandemia che non ci hanno permesso di incontrare i colleghi di persona, e difficoltà endogene create ad arte dalla banca stessa e denunciate in più comunicati sindacali. Nei presidi in occasione dell’ultimo sciopero le delegazioni sindacali sono state ricevute da Banca d’Italia a Roma e a Firenze abbiamo visto la solidarietà del collettivo di fabbrica GKN. La solidarietà ci è arrivata anche da tanti compagni e compagne dei territori e dei coordinamenti FISAC insieme a quella del sindacato internazionale UNI GLOBAL che ha scritto alla casa madre BNP PARIBAS invitandola a non interrompere il confronto. Il sindacato, sin dall’apertura della procedura di ristrutturazione e fino all’ultimo nell’ambito di ogni singola procedura di cessione art.47, ha cercato un punto di incontro con la controparte, la stessa visibilmente interessata solo a portare a termine il piano così come immaginato inizialmente e tesa a escludere diversi punti di caduta. Nell’intento di evitare cause sull’ illeggittimità delle cessioni, la BNL ha di volta in volta fatto “proposte” che avevano il sapore di “provocazioni”. Come per esempio, per la cessione IT, deboli garanzie occupazionali vincolate alla rinuncia scritta a ricorsi legali e per il back office l’utilizzo di “distacchi” stravolti da deroghe alla legge. Deroghe da realizzare con “contratti di prossimità” che avrebbero lasciato dell’istituto del distacco , nei fatti, solo il nome e aperto la porta all’art.8 della legge Sacconi nel nostro settore, articolo di cui la CGIL da anni chiede l’abolizione. A questo punto, esauriti i giorni di confronto previsti per legge, le cessioni vanno avanti , le garanzie per i colleghi ceduti non ci saranno ma ci saranno le cause in cui la FISAC coadiuverà gli iscritti tramite un primario studio legale convenzionato. La novità della partita spietata giocata da BNL in barba a decenni di relazioni sindacali fruttuose (non si vedeva uno sciopero in azienda da 40 anni) speriamo resti una “specificità” di questa azienda. Come coordinamento Fisac in BNL, come tavolo sindacale unitario e come lavoratori e lavoratrici di questa azienda abbiamo ritenuto giusto alzare la testa, non piegarci al ricatto di un utile a due cifre e senza venire meno alle nostre responsabilità abbiamo difeso le nostre convinzioni: la produttività del lavoro non può prescindere dai lavoratori e va posto un limite all’interesse privato che serve. Ora entreranno un terzo e un quarto attore nella metrica del confronto: il tribunale e il tempo.
Invisibili di Chiara Rossi Quando entriamo in ufficio, la mattina, le nostre scrivanie sono ordinate, i bagni puliti, ci sono sapone , asciugamani e carta igienica. Il pavimento è pulito, i cestini sono vuoti, le piante annaffiate. Se un collega è positivo, l’ufficio viene sanificato per permetterci di tornare a lavoro in sicurezza. Tutto questo è possibile grazie a lavoratrici in maggioranza donne che non vediamo, se non talvolta fugacemente quando ci tratteniamo oltre l’orario di lavoro. Sono lavoratrici indispensabili ma invisibili che hanno visto peggiorare la loro condizione di vita e spesso anche perdere il loro posto di lavoro. Il ricorso allo smartworking che per molte/i colleghe/i ha significato una maggior conciliazione di temi di vita e lavoro ha significato per le lavoratrici dell’appalto una diminuzione di stipendio. La chiusura delle sedi centrali e quindi di mense, servizio di pulizia e portierato ha messo in cassa integrazione molte di loro. Anche laddove si è continuato a stare aperti, nella rete delle filiali, lo schema non è cambiato: si sono tagliati i costi sacrificando la salute di colleghe/i e clienti. Si è tagliato il servizio di pulizie con un sistema di appalti al ribasso che ha assegnato la commessa alle cooperative che garantiscono di svolgere lo stesso servizio in tempi molto più rapidi. La maggior parte delle persone che lavorano nelle cooperative multiservizi sono assunte part time e lavorano un massimo di 20 ore settimanali, la loro busta paga varia tra le 600 e i 700 euro lordi. Ma nella maggior parte dei casi, per raggiungere il loro monte ore, sono costrette a spostarsi in più luoghi. Il passaggio da un’azienda all’altra non è quasi mai indolore. Chi vince la nuova gara la vince al ribasso e a rimetterci sono sempre le lavoratrici. E’ successo in Toscana in CR Volterra in BPER e nelle BCC. Iccrea ha infatti stipulato un accordo quadro che prevede la riduzione del costo delle pulizie del 30%. In toscana l’appalto sarà affidato alla cooperativa l’Orologio che, in quanto cooperativa sociale, applica una paga oraria inferiore a quella prevista nel contratto dei Multiservizi. Se guardiamo al gap che separa le nostre retribuzioni da quelle delle addette alle pulizie ci appare subito chiaro quando questa distanza sia macroscopica. Il fatto che nel nostro settore la presenza femminile sia paritaria e in quello dei multiservizi si attesti intorno all’80% evidenzia che le donne si concentrano nei settori di lavoro più povero. Questa segregazione orizzontale determina un gap salariale molto più profondo di quello determinato dalla segregazione verticale interna al settore. Per raggiungere la parità tra uomo e donna dunque non è più sufficiente concentrarsi sulla distruzione del soffitto di cristallo ma sull’abbattimento delle pareti di cristallo. Guidati dal valore della confederalità, che ci caratterizza anche rispetto agli altri sindacati, contrattando, esigendo l’apertura di tavoli negoziali che chiedano conto degli appalti, denunciando puntualmente il peggioramento della salute di colleghe/i e clienti e richiamando le aziende agli obblighi di legge DL81, continueremo a batterci per migliorare le condizioni vita delle lavoratrici più deboli che, seppur invisibili, lavorano al nostro fianco.
Contro la guerrasenza SE e senza MA di Daniele Quiriconi Ci sono certamente argomenti per criticare la posizione dell’occidente, degli USA, della UE e la politica di espansione della NATO ad Oriente, gli errori fatti, e le sottovalutazioni compiute. Tuttavia l’avventurismo di Putin, una nuova guerra in Europa dagli esiti imprevedibili, le morti inutili (anche civili) con le inevitabili pesanti ricadute sulle economie mondiali che determinano va condannato senza appello. Ribadire il proprio NO alla guerra come strumento di risoluzione dei conflitti è ciò che ogni democratico deve ribadire con forza. La CGIL, lo affermò al tempo delle guerre dei balcani negli anni ‘90 del secolo scorso, lo ribadisce oggi facendosi promotrice insieme a tante associazioni di iniziative in ogni angolo del paese contro questa follia senza senso. La regressione che questo conflitto porta con sé, a partire da una politica di riarmo senza precedenti dell’Europa (anche della Germania e non è una gran notizia) rischia di far passare in secondo piano sotto la spinta dell’emergenza esterna, i tanti problemi e le disparità che questo modello di sviluppo ha generato ed alimentato e la pandemia accentuato. Restituire la parola alla diplomazia, far tacere i cannoni, non è un imperativo retorico, ma una necessità imprescindibile urlata a gran voce dai popoli e soprattutto dai più diseredati. Un mondo così interconnesso e interdipendente poi, può andare incontro a situazioni imprevedibili e magari non volute nemmeno dai tanti dott. Stranamore che governano il pianeta. Certamente si metteranno in un angolo, con le politiche di riarmo al centro delle agende politiche e i nuovi bisogni energetici impellenti, tutti i temi connessi a transizione ecologica, nuovo modello di sviluppo, partecipazione democratica. Già questo è una caporetto per le élite mondiali ma anche per i popoli .