L’importante è vincere non partecipare

Quando l’etica è parola raccontata e mai applicata

In vista della pubblicazione dei risultati 2024 della Banca alcuni manager hanno deciso di dare una visione prospettica sul futuro dei lavoratori e le sfide dei prossimi mesi e anni.

A quanto pare, i risultati sono stati eccellenti ma non potranno essere replicati nel 2025 con la stessa facilità e in assenza di investimenti e sforzi straordinari (o meglio, senza investimenti da parte della banca e con lo stesso livello di sforzo da parte dei lavoratori). 

E in più dalle prime linee viene trasferito ai manager (che lo riportano diligentemente alle proprie risorse) che alla banca ‘…non gliene frega niente dell’impegno ma solo dei risultati…’ e che delle attività di ‘RUN’ (cioè, di gestione quotidiana) non importa nulla ai grandi capi a cui interessano solo i progetti di innovazione o sviluppo (CHANGE) che possano far fare ancora più soldi alla Banca.

Significa forse questo che i team di lavoro nel 2025 dovranno focalizzarsi meno sulle attività di RUN e più su quelle di CHANGE? Anche no!!

A parità di risorse dovranno essere portate avanti sia le attività di RUN che di CHANGE perché anche se le prime non sono strategiche per l’azienda sono comunque essenziali per far andare avanti la baracca. 

Ma se invece non si raggiungono gli obiettivi fissati dal board aziendale, per quanto irrealistici o irrealizzabili, la prospettiva è che ‘….da qui a cinque anni non ci saremo più, ci mandano via o ci vendono…’.

E nemmeno si possono sollecitare i lavoratori a impegnarsi di più, visto che l’impegno non è un valore ma solo i risultati; A quali, peraltro, i lavoratori, a differenza degli azionisti, non partecipano se non nella ridottissima misura del VAP.

Peccato poi che il rapporto di lavoro subordinato sia un’obbligazione di mezzi e non di risultato. Il lavoratore non si obbliga a garantire al datore di lavoro un determinato risultato utile in un determinato arco temporale, ma “alla messa a disposizione del datore delle proprie energie, nei modi e nei tempi stabiliti, con la conseguenza che il mancato raggiungimento del risultato prefissato non costituisce di per sé inadempimento, giacché si tratta di lavoro subordinato e non dell’obbligazione di compiere un’opera o un servizio (lavoro autonomo)” (Cass., 20 agosto 1991, n. 8973). 

Noi lavoratori dipendenti, cioè, veniamo pagati per il tempo e l’impegno messi a disposizione dell’azienda e soprattutto su questo dovremmo essere valutati. 

I ‘risultati’ (es. performance commerciali) sono solo uno degli elementi delle valutazioni e del premiante, non misura unica del ‘valore’ del lavoratore. Il Gruppo stesso pone al di sopra degli obiettivi commerciali il rispetto del codice etico e deontologico, e l’agire il ruolo proprio della mansione con la dovuta integrità e diligenza. 

O forse no: se contano solo i risultati, ogni mezzo (più o meno lecito o deontologicamente discutibile, per acquisire clienti o fare cassa è lecito? Hanno forse i nostri manager deciso di abbandonare il riferimento del codice etico in favore di una rilettura de ‘Il principe’ di Machiavelli? Il fine ultimo (il budget) giustifica ogni mezzo?

A quando la sostituzione dei gingle aziendali con un bel grido di ‘all’arrembaggio!’ ai clienti?

 

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