Fisac Cgil Gruppo BNL – Prospettive NUM. 33 – luglio 2025
LA GUERRA CHE VERRÀ
La guerra che verrà non è la prima. Prima ci sono state altre guerre.
Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente faceva la fame.
Fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente.
La guerra: qualcuno ci spiega che ci sono delle guerre giuste, che dobbiamo difenderci da qualche nemico esterno che non conosciamo. Qualcuno ci dice che le guerre, se condotte secondo le regole che stabiliscono come e quando si può uccidere qualcun altro, si possono fare. Ci dicono che ci sono i buoni da una parte ed i cattivi dall’altra: i buoni non fanno la guerra, ma esportano la democrazia e difendono i deboli oppressi dai cattivi, ma solo nelle zone che interessano economicamente e politicamente ai buoni.
Bertold Brecht, l’autore della poesia, ci dice invece che in qualsiasi guerra a morire, a piangere, a soffrire c’è la povera gente. Poco importa se siede dalla parte dei vinti o dei vincitori. Importa ancora meno se la guerra viene fatta secondo “le regole”: quando perdi la casa, la famiglia, la vita, interessa poco l’etichetta che c’era sull’arma che ti ha ucciso.
Il massacro indiscriminato che Israele sta infliggendo al popolo palestinese è stato giustificato come una risposta lecita ad un attacco terroristico. Una difesa per le 1.400 vittime di un attacco compiuto dai cattivi, che ha portato alla strage di 55.000 Palestinesi. 17.000 bambini. Alcuni parlano di numeri ancor più elevati. Più di 115.000 feriti, oltre 2 milioni di sfollati. Molte delle vittime sono morte a cause delle condizioni insostenibili in cui vivono – o, sarebbe meglio dire – sopravvivono; 400 persone sono state uccise dalle armi buone perché chiedevano del cibo.
Così, che si stia dalla parte dei buoni o dei cattivi, a soffrire è solo la povera gente; le 1.400 vittime innocenti: uomini, donne e bambini israeliani, le decine di migliaia di Palestinesi ormai vittime di un vero e proprio olocausto.
E, qualunque sia il tipo di guerra, ci vogliono i denari. Quelli messi a disposizione dagli istituti di credito come Bnp Paribas, che ha deciso di finanziare il governo israeliano con l’emissione di due miliardi di obbligazioni “di guerra”, ossia finalizzate a coprire i costi del massacro operato da Israele nella striscia di Gaza.
La notizia non è così recente: già qualche mese circolava e come Fisac chiedemmo conto all’azienda che ci rispose che queste operazioni erano state messe in piedi mesi prima che il conflitto iniziasse; quindi, non erano ascrivibili a questa fattispecie. Peccato però che le informazioni che hanno cominciato a circolare da qualche tempo sembrano smentire tale tesi: Israel Bonds, l’ente del governo israeliano incaricato di pubblicizzare queste obbligazioni, ha specificato che sono un’opportunità per il supporto alla guerra.
Sia al CAE che in un altro incontro organizzato con la controparte, come Fisac abbiamo denunciato con forza questa strategia aziendale volta a rendere una tragedia umana l’opportunità di una nuova – e assai remunerativa – linea di business. Crediamo infatti che sia possibile guadagnare anche attraverso investimenti sostenibili, per usare un linguaggio aziendale: ce lo insegna la stessa Bnp Paribas, che nel corso della presentazione al CAE ci ha tenuto molto a rappresentarci un bilancio sociale che sta virando in maniera sempre più decisa verso il sostegno ad aziende impegnate nella riduzione delle emissioni inquinanti.
Un impegno lodevole, davvero: la crisi climatica è una seria minaccia all’intera popolazione mondiale e strategie di questo tipo possono contribuire a ridurre tale pericolo. Un impegno che ci dice anche però che è possibile ridurre – se lo si vuole – la propria esposizione in quei segmenti di mercato che lucrano sulla sofferenza della povera gente. Una strategia sicuramente complessa perché siamo consapevoli che la guerra è un business molto profittevole. Lo sa bene anche Bnp Paribas che, purtroppo, continua ad essere leader a livello europeo nel finanziamento alle industrie degli armamenti. Ci chiediamo, quanto le società di Bnp in Italia, Bnl inclusa ovviamente, siano coinvolte.
Eppure, qualunque sia il guadagno, vorremmo far parte di un’azienda che non abbia le mani sporche del sangue della povera gente e che non finanzi nessuna guerra. Perché qualunque guerra, per quanto la si possa narrare, rappresenta sempre e comunque la sconfitta suprema del genere umano.
Periodico di libero confronto sindacale a cura della Fisac Cgil Gruppo BNL