Se l’importante non è partecipare

A vedere i fantasmagorici risultati di partecipazione al nostro NPE, viene spontaneo chiedersi se, per risolvere il problema dell’astensionismo, non sia il caso di adottare il voto elettronico. Ma vi siete mai chiesti perché questo sistema non venga utilizzato, non solo in Italia ma anche in molti altri Paesi?

Spesso si pensa che il motivo sia di natura tecnologica, in particolare legato alla sicurezza. Ma questo non è l’unico problema, e forse neppure il più grave. Il vero ostacolo al voto elettronico riguarda la libertà. Eh già, proprio la libertà.

Quando si vota da casa tramite dispositivi elettronici, non c’è alcuna certezza che l’elettore sia davvero solo e libero da pressioni. La cabina elettorale, spazio neutrale e protetto, viene sostituita da un ambiente privato ma potenzialmente vulnerabile. Questo può compromettere la libertà dell’atto di voto,

che dovrebbe essere personale, autonomo e segreto. Insomma, quando voti a casa, non c’è garanzia che tu sia solo. Potrebbero esserci pressioni familiari, ambientali, economiche o persino criminali.

Inoltre, anche la libertà di verificare il corretto funzionamento del processo democratico risulta compromessa. Nei sistemi elettronici chiusi, il cittadino è costretto a fidarsi del software e dell’infrastruttura senza avere gli strumenti per capire se il proprio voto sia stato registrato e conteggiato correttamente. In una votazione tradizionale, chiunque può partecipare allo spoglio, osservare, controllare. Nei sistemi elettronici chiusi, invece, tutto avviene all’interno di software spesso opachi. Il cittadino comune non ha strumenti per capire se il proprio voto è stato registrato e conteggiato correttamente. In una democrazia matura, però, la fiducia dovrebbe poggiare su trasparenza e verificabilità, non su un atto di fede nella tecnologia.

Giorgio Gaber cantava che la libertà è partecipazione. Ma questo vale solo se la partecipazione è davvero libera.

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