Meno banche, più disuguaglianze: i rischi della desertificazione bancaria
di Alessandra Cannucciari – CGIL di Roma e Lazio
Il sistema bancario italiano sta vivendo una fase di contrazione con la chiusura di numerosi sportelli, che, nel 2024 sono stati più di 500 e, anche nel 2025, si sta mantenendo un trend negativo. Tuttavia, la chiusura di filiali, non impedisce alle banche di registrare utili faraonici. Questo fenomeno, la “desertificazione bancaria”, penalizza soprattutto le aree interne e più disagiate (che rappresentano circa il 34% del territorio italiano), creando un circolo vizioso di riduzione dei costi per gli istituti e impatti negativi su comunità (spopolamento e chiusura delle Pmi) e occupazione. In questo contesto l’Italia sta perdendo quella caratteristica del sistema del credito ‘diffuso’ che aveva contraddistinto in passato lo sviluppo economico così ben distribuito sul territorio nazionale. Oggi tutto questo sembrerebbe compromesso con le ricadute su lavoro, spopolamento, chiusura di Pmi e restrizioni creditizie.
Negli ultimi anni il sistema bancario e postale italiano ha subito trasformazioni profonde, determinate da scelte industriali orientate alla riduzione dei costi, da normative che hanno favorito la concentrazione degli istituti e da una digitalizzazione sempre più spinta che, se da un lato semplifica le operazioni per una parte della clientela più giovane e tecnologicamente attrezzata, dall’altro sta cancellando presidi di prossimità fondamentali nei territori.
Le conseguenze di queste scelte si fanno sentire in modo evidente anche nel Lazio, dove la progressiva chiusura di sportelli bancari e postali sta producendo gravi effetti sul piano occupazionale, economico e sociale.
I dati più recenti della Banca d’Italia fotografano con chiarezza la dimensione nazionale del fenomeno: al 31 dicembre 2024 in Italia erano operativi 19.655 sportelli bancari, contro i 20.160 dell’anno precedente, con una riduzione di 505 unità pari a un meno 2,5 per cento in soli dodici mesi. Il rapporto medio nazionale è ormai sceso a 33 sportelli ogni 100 mila abitanti, un valore in calo costante rispetto al decennio precedente e appena superiore alla media dell’area euro che si attesta intorno ai 30.
Considerando che la tendenza alla chiusura è più accentuata nelle regioni meridionali e nel Centro-Sud, è ragionevole ritenere che anche il Lazio stia subendo un ridimensionamento più rapido della media nazionale, con effetti più marcati nelle province di Rieti, Frosinone, Latina e Viterbo rispetto all’area metropolitana di Roma dove la concentrazione di sportelli rimane più alta ma comunque in riduzione.
Questo significa che un numero crescente di comuni laziali, soprattutto quelli più piccoli o delle aree interne, rischiano di rimanere privi di servizi bancari, costringendo cittadini e piccole imprese a spostarsi di decine di chilometri per operazioni quotidiane come versamenti, pagamenti, riscossione di pensioni o semplici consulenze.
La desertificazione bancaria produce inoltre un impoverimento del presidio di legalità: la conoscenza diretta della clientela e del territorio, che in passato consentiva di prevenire fenomeni di riciclaggio e traffici illeciti, viene sostituita da algoritmi di valutazione che non riescono a cogliere le peculiarità locali. A ciò si aggiunge la perdita di lavoro qualificato, poiché ogni chiusura di sportello comporta la soppressione di figure professionali con competenze specifiche e la riduzione di servizi essenziali per la comunità.
Nelle aree interne e nei centri storici dei piccoli comuni del Lazio la chiusura di banche si traduce anche in un fattore di spopolamento: i giovani, privati di opportunità occupazionali e di servizi, scelgono di trasferirsi alimentando un processo di impoverimento sociale ed economico. La distanza crescente tra i centri decisionali e la rete territoriale incide inoltre sull’erogazione del credito, impedendo di valutare la clientela attraverso il contatto diretto e aggravando le difficoltà di accesso ai finanziamenti per famiglie e piccole imprese.
Tutto questo può comportare un rallentamento della crescita economia limitando la capacità di innovare, investire ed assumere. È in questo contesto che assume ancora più valore il richiamo alla Legge 146 del 1990, che riconosce poste e banche come servizi essenziali e impone la garanzia delle prestazioni indispensabili. Se la gestione di conti correnti, pensioni e pagamenti pubblici rientra a pieno titolo tra queste attività, allora la presenza fisica minima degli sportelli dovrebbe essere considerata una prestazione essenziale e dunque non comprimibile.
Garantire la continuità territoriale dei servizi finanziari significa difendere non solo posti di lavoro ma anche diritti fondamentali di cittadinanza.
Per questo dobbiamo rivendicare con forza un quadro normativo che imponga una soglia minima di sportelli fisici per abitante o per comune, in particolare nelle aree più vulnerabili, e che vincoli le banche al mantenimento di un presidio stabile sul territorio. I piani industriali che prevedono la razionalizzazione degli sportelli devono essere contrastati con decisione dalle organizzazioni sindacali e devono essere aperti tavoli di confronto periodici con le istituzioni. Solo così sarà possibile contrastare efficacemente la desertificazione bancaria che, nel Lazio come in gran parte d’Italia, rischia di trasformarsi in una nuova forma di disuguaglianza sociale e territoriale.
