“Il genere delle parole – Superare gli stereotipi e trovare la via della parità” è il seminario che si è tenuto il 4 luglio presso la sala conferenze del MAMbo; introdotto da Elisa Camellini del Coordinamento politiche di genere e nuovi diritti della CGIL ER ha visto gli interventi di Giorgia Piracci (attrice e formatrice), Eleonora Pinzuti (consulente, formatrice e coach nell’ambito delle pari opportunità), Barbara Lori( Assessora alle Pari Opportunità
Regione Emilia-Romagna) e Pina Picierno (Vicepresidente del Parlamento europeo).
Si è parlato di un linguaggio nuovo, un modo diverso di usare le parole, per contrastare sessismo e stereotipi di genere e di come le istituzioni stanno lentamente orientandosi in questo percorso virtuoso.
Curare il linguaggio e il modo che abbiamo di esercitarlo è il primo passo per curare gli stereotipi e la violenza che ne deriva, ma questo traguardo può essere raggiunto solo se iniziamo a prendere coscienza di tutte quelle sfumature linguistiche che sembrano inoffensive ma che, in realtà, sono portatrici di pregiudizi e discriminazioni.
La violenza di genere assume forme subdole, insinuandosi in comportamenti lessicali apparentemente innocui e in intercalari reiterati inconsapevolmente: il linguaggio è uno strumento prezioso semplice e immediato che abbiamo per fare la differenza e contribuire, nella quotidianità, all’eliminazione di quel sessismo che alimenta la cultura patriarcale alla base della discriminazione di genere.
Certo la lingua italiana priva del “neutro” non facilita un atteggiamento inclusivo in cui femminile e maschile abbiano una declinazione paritaria ma il tentativo e l’attenzione sono d’obbligo.
Se vogliamo crescere una nuova generazione di bambine e bambini consapevoli entramb* del proprio valore e del proprio posto nella società dare a ciascun* un nome ed una immagine di riferimento ben introiettata e un passo importante. Se una giovane Alice continua a sentire l’appellativo “ingegnere donna” per sua madre mentre tutti gli uomini sono definiti solo “ingeneri” come potrà sognare e approcciare serenamente una carriera scientifica?!
Piccolo vademecum salvavita:
-evitare l’uso delle parole “uomo” e” uomini” in modo universale, cioè per riferirsi all’intero genere umano, e adottare espressioni più inclusive come “persona o persone”.
-evitare, nelle coppie uomo/donna, di dare sempre la precedenza alla forma maschile rispetto a quella femminile: per esempio, anziché “uomini e donne” o “fratelli e sorelle”, sarebbe preferibile invertire l’ordine e parlare di “donne e uomini” e “sorelle e fratelli”.
-evitare di usare il participio passato maschile per riferirsi a un insieme di nomi di prevalente genere femminile. In questo caso, la forma più inclusiva declina l’aggettivo secondo il genere maggioritario: per esempio, anziché “Carla, Maria, Francesca e Matteo sono arrivati”, sarebbe più corretto dire “arrivate” in quanto ci si riferisce a tre donne e un uomo.
-evitare di riferirsi alla donna usando solo il nome proprio e all’uomo usando nome e cognome.
-evitare di usare il maschile per professioni, mestieri e cariche quando la forma femminile esiste: per esempio, sarebbe preferibile parlare di “amministratrice” anziché “amministratore”, di “segretaria generale” anziché “segretario generale”, di “consigliera comunale” anziché “consigliere”, eccetera.
-evitare di usare la forma maschile o il suffisso -essa per cariche e professioni per cui esiste la regolare forma femminile o la forma con suffisso in -a (ad esempio, “senatrice”, “notaia”, “scrittrice”, “rettrice”, “redattrice”, “avvocata”, “deputata”, “magistrata”, “prefetta”).
-evitare di usare nomi epiceni (cioè che hanno stessa valenza al maschile e al femminile) al maschile o con articoli maschili. Meglio, per esempio, dire “la parlamentare” anziché “il parlamentare” (o il parlamentare donna), “la preside” anziché “il preside”, “la presidente” anziché “la presidentessa” o “il presidente”, “la leader” anziché “il leader”.
Il linguaggio determina attraverso le relazioni la forma dell’organizzazione sociale e questa a sua volta un suo codice linguistico.. Per tale ragione se vogliamo costruire una società pacifica, egualitaria e paritetica bisogna partire dalle parole giuste.