“Si era detto ‘mai più, ma non è cambiato nulla”.

A otto anni di distanza dalla morte del piccolo Alan Kurdi, avvenuta in seguito ad uno dei tanti (troppi!) naufragi che colpiscono sistematicamente i migranti, il tema drammatico dei soccorsi in mare si ripropone in tutta la sua urgenza e la sua tragicità.

Così come pubblicato da diverse testate giornalistiche a livello mondiale, anche noi – nel nostro piccolo e nel nostro microcosmo – avvertiamo l’esigenza di riproporvi la lettera che la zia di Alan ha voluto scrivere in seguito alle recentissime stragi (annunciate) di migranti – spesso bambini proprio come il nipotino – avvenute a poche miglia di distanza dalle coste dell’Europa (Cutro e Pylos su tutte): le coste di un’Europa spesso sorda di fronte al grido di dolore proveniente da masse di diseredati che subiscono, loro malgrado, tutte quelle sperequazioni sociali ed economiche che il sistema del capitale perpetra quotidianamente, un’Europa arroccata tra le sue mura unicamente preoccupata di salvaguardare le regole e i tecnicismi burocratici che caratterizzano i propri asettici protocolli d’intesa, un’Europa spesso ostaggio di una parte politica che soffia pericolosamente sul fuoco della crisi sociale, alimentando così ulteriori divisioni e costruendo nuovi muri.

Questo naufragio fa rivivere il mio dolore, il nostro dolore. Sono affranta. Ho il cuore spezzato per tutte le anime innocenti perdute, che non sono solo numeri in questo mondo. “Mai più” abbiamo sentito ripertere nel 2015, l’ho sentito innumerevoli volte. E cosa è cambiato? Quante anime innocenti si sono perse in mare da allora?

Voglio riportarvi al 2 settembre 2015, quando tutti avete visto l’immagine di mio nipote, il bambino di due anni che il mare ha restituito su una spiaggia turca. Cosa avete provato di fronte a quella scena? Cosa avete detto, cosa avete fatto? Quando ho saputo che mio nipote stava annegando, sono caduta a terra piangendo e ho iniziato a urlare più forte che potevo perché volevo che il mondo mi sentisse! “Perché proprio loro? Perché proprio adesso? E chi sarà il prossimo?”

Da allora, ho deciso di alzare la voce e parlare per tutti coloro che non vengono ascoltati. E soprattutto per mio nipote, quel bimbo sulla spiaggia, Alan Kurdi, la cui voce non si sentirà mai più. Per favore, non tacere e aggiungi la tua voce alla mia. Non possiamo chiudere gli occhi e voltare le spalle alle persone che cercano protezione. Apri il tuo cuore e accogli le persone in fuga.

La politica migratoria europea deve cambiare adesso. Anzi, avrebbe dovuto farlo molto tempo fa. Deve fornire modi sicuri per fuggire. Costruire muri, non è una soluzione. Bloccare navi di soccorso perché salvano vite umane non è una soluzione. Dare la caccia alle persone accusandole di essere scafisti non è una soluzione.

Le persone stanno soffrendo e troveranno sempre un modo per partire. Tu hai il potere di decidere se la loro unica opzione è percorrere strade pericolose perché non c’è altro modo di fuggire. Agisci adesso.”

Tima Kurdi scrive, “non possiamo chiudere gli occhi e voltare le spalle alle persone che cercano protezione”: no, non possiamo. Ognuno di noi deve far sentire la propria voce affinché la vita sia preservata sempre, ad ogni latitudine, a maggior ragione al limite delle nostre coste, del nostro mondo.

Uno dei compiti di un Sindacato radicato nel proprio contesto politico, economico e sociale deve essere anche quello di farsi portavoce di queste istanze, di farsi parte attiva all’interno di un processo epocale che non può non partire da una seria e approfondita analisi sui meccanismi di sfruttamento delle risorse, sui cicli di produzione delle merci e sui processi di redistribuzione propri del capitalismo contemporaneo, non può non prevedere la scelta di aprire il cuore verso chi soffre.

Il richiamo forte e deciso di Tima è un appello alle nostre coscienze, è una chiamata alle armi (della volontà e dell’agire collettivo) che non può cadere nel vuoto e nell’oblio.

La Repubblica, 19 giugno 2023

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