
A cura di Paola Caringi
FISAC CGIL Rieti Roma est Valle dell’Aniene
Non posso parlare delle donne saharawi senza fare un cenno alla storia di questo popolo che le ha portate ad essere le donne che sono oggi.
Il Sahara Occidentale è una ex colonia spagnola e ultima colonia africana, occupata nel 1975 dal Marocco.
Nel 1976 si costituisce la RASD (Repubblica araba Saharawi democratica) che diventa membro fondatore dell’Unione Africana con ambasciate e rappresentanze in 80 paesi.
Dopo una lunga guerra tra Marocco e Fronte Polisario (combattenti Saharawi), nel 1991 con l’intervento dell’ONU c’è stato il cessate il fuoco con la prospettiva di indire un referendum per l’autodeterminazione del popolo Saharawi, affidato dalle Nazioni Unite alla missione MINURSO (missione di pace) ma ad oggi non ancora indetto.
Gran parte della popolazione (attualmente sono circa 160 mila rifugiati) si è spostata ed è stata accolta nel deserto algerino dove si sono formati i campi profughi di Tindouf. La maggior parte della popolazione è femminile e svolge un ruolo fondamentale non solo nella vita quotidiana ma anche politica e di liberazione.
Molti uomini sono deceduti durante la guerra di resistenza, molti ancora sono soldati che difendono una piccola porzione di deserto che si trova tra i campi profughi e un muro lungo più di 2.700 chilometri di sabbia e mine e che taglia in due come una cicatrice il Sahara Occidentale, altri sono riusciti ad uscire dai campi profughi per guadagnare qualche soldo da mandare alle famiglie. Nei campi si sopravvive solo con gli aiuti umanitari che purtroppo ultimamente stanno diminuendo, non c’è acqua, non c’è luce, non è possibile coltivare nella sabbia e le capre che danno latte sono gli unici animali che riescono a sopravvivere.
Non esiste un vero e proprio sistema economico commerciale anche se il denaro, dopo tutti questi anni, ha iniziato a circolare e si sono create piccole botteghe dove puoi trovare poche cose ma essenziali. Nonostante le dure condizioni di vita, il popolo saharawi, proprio grazie alle donne, è riuscito a organizzare la propria vita politica, economica e sociale anche in esilio. Le donne hanno un ruolo centrale, sono professoresse, poliziotte, infermiere, politiche, mediche, sarte, hanno la gestione della famiglia e della vita nei Campi.
Sono state le donne saharawi, scappate durante l’occupazione marocchina, che si sono preoccupate di allestire le tende nel deserto e creare i Campi nel nulla. Sono mussulmane ma non subiscono la sudditanza e diseguaglianza che a volte, purtroppo, caratterizza la visione integralista della religione.
Nel 1974 è stata creata l’Unione nazionale delle donne saharawi (UNMS) collegata al Fronte Polisario e anche se la sua attività principale si svolge nei campi, ci sono donne nella segreteria nazionale del Fronte Polisario e diverse ministre nel governo. Un risultato importante dell’UNMS è stata la creazione di un crescente movimento femminista musulmano che combatte per l’uguaglianza sostanziale, non solo formale, di uomini e donne, per l’autodeterminazione del popolo Saharawi, per un progetto di mantenimento della pace che possa essere di ispirazione per tutte le donne che vivono come rifugiate affinché non si sentano vittime ma diventino militanti per una pace mondiale.
Questa autonomia che le donne si sono conquistate con il tempo ha fatto sì che acquisissero anche un posto fondamentale nella storia della politica attuale ricoprendo posizioni di responsabilità pubblica e a far parte delle strutture politiche e amministrative create nei campi, nel 2018 una donna del UNMS è entrata a fare parte del team di negoziatori del Fronte Polisario composto da 5 membri.
Nel 2019 è stata fondata la SMAWT (Saharawi Mine Action Team) donne impegnate a sminare una delle aree più minate nel mondo, altra missione di questa associazione è quella si sensibilizzare le famiglie circa il pericolo e aiutarle in caso di danni dovuti all’esplosione delle mine.
Delle donne Saharawi non se ne parla mai, impegnate nel costruire una catena di collaborazione e di vera sorellanza. Le troviamo nei campi profughi di Tindouf, nei territori occupati del Sahara Occidentale, nel deserto a difendere il confine con i campi minati. Il Marocco non permette nessuna libertà di espressione, di manifestazione, è vietato esporre anche una bandiera e sopprime qualsiasi dissenso con brutalità, soprattutto nei confronti delle donne. Nessuno può ufficialmente denunciare questa prepotenza in quanto, nel Sahara Occidentale, occupato, è proibito l’ingresso di parlamentari, delegati Onu, giornalisti, associazioni umanitarie e naturalmente turisti.
Lei è Mina Baali, componente dell’associazione saharawi delle vittime dei dirittii umani gravi. Si trova nei territori occupati e come protesta espone la bandiera saharawi dal tetto della sua casa. Arrestata, perseguitata e picchiata più volte dalla polizia per aver partecipato a manifestazioni pacifiche.
Altra donna che lotta per il suo popolo e per arrivare al referendum è Sultana Khaya.
Presidentessa della lega per la difesa dei diritti umani e il saccheggio delle risorse naturali, ha sempre denunciato le violenze, la repressione e gli abusi subiti dalle donne saharawi da parte delle guardie marocchine. E’ stata chiamata a parlare al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni unite. Lei, in prima persona, sua sorella e sua madre assediate in casa per diversi anni, sono state vittime di violenza sessuale, di botte e di sopprusi. Anche Amnesty International ha denunciato queste violenze.
Lei è Aminatou Haidar ripresa appena uscita dalla prigione marocchina dopo 7 mesi di reclusione. Arrestata mentre era in ospedale nel 2005 a seguito di lesioni subite dalla polizia marocchina durante una manifestazione pacifista per reclamare l’indipendenza del popolo saharawi e torturata durante l’interrogatorio, è divenuta un simbolo della resistenza e un esempio per tutti i saharawi. Le azioni di Aminatou hanno avuto un’eco in tutto il mondo, è diventata un’ambasciatrice itinerante della causa saharawi. Ha ricevuto diversi premi, uno anche in Italia, per la solidarietà nei confronti dei profughi e per la difesa del diritto di asilo. Napoli le ha concesso la cittadinanza onoraria.
La forza delle donne saharawi è tanta e anche la loro determinazione, purtroppo si fa fatica a parlarne.
Hanan, adesso ha 7 anni, vive nei campi profughi con la mamma e la nonna, è felice perché non conosce la guerra, sarà una donna saharawi che porterà avanti in pace la causa del suo popolo anche se non ha mai conosciuto la sua terra il Sahara Occidentale. Quale potrà essere il suo futuro? Il suo progetto di vita?
È difficile poterlo immaginare…cosa possiamo fare noi contro questa ingiustizia?
Parlare di queste donne straordinarie di quello che stanno facendo per supportarle e non farle sentire sole, dimenticate.