Pubblichiamo di seguito le relazioni ed il documento originale in PDF.
Relazione 1
Care compagne, questo è il primo coordinamento donne dopo l’assemblea delle delegate di Catania, quindi come esecutivo diciamo bentrovate alle compagne che ne facevano già parte e benvenute alle tante nuove compagne. Siamo una platea rinnovata per circa la metà e non è solo una necessità anagrafica, ma è anche un segno di vitalità delle donne della Fisac. Ci occorrono nuove idee insieme alla valorizzazione delle esperienze.
Sappiamo che è un periodo molto impegnativo, in un momento non facile per le lavoratrici ed i lavoratori.
L’ormai annosa crisi di rappresentanza del mondo del lavoro, unita a questo governo formato dalla destra più retriva, costituisce una miscela tossica. Per questo la CGIL ha lanciato una stagione di lotta, sabato si terrà un’altra manifestazione nazionale, e tra poco saremo tutte impegnate nella raccolta delle firme per i referendum. Non ci soffermiamo su questo, ne siete tutte a conoscenza dai vostri territori.
In un simile contesto, anche i diritti civili delle donne sono sotto attacco, prima fra tutte la legge 194, difesa negli ultimi anni solo dalla Cgil quale organizzazione di massa, trascurata anche da quei partiti (della sinistra) che dovrebbero essere gli eredi dei partiti che si batterono nel parlamento degli anni ‘70 per farla approvare.
Ci è venuta incontro la buona notizia che il Parlamento Europeo ha votato a favore dell’inserimento del diritto all’aborto nella Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea. Peccato che la Carta può essere modificata solo con l’assenso di tutti i 27 paesi membri. Sarà molto difficile!
Per quanto riguarda i diritti economici ci siamo dette più volte che non si stanno facendo grandi passi avanti, anzi facciamo fatica a riprenderci dal calo occupazionale avuto con la pandemia, calo che aveva colpito maggiormente le donne. L’EIGE (European Index Gender Equality) mette una media di 70,2 (100 indica la parità piena) dell’Index Equality tra i paesi europei; l’Italia ha 68,2 ed è sotto la media ma almeno viene prima di paesi come la Lettonia, la Polonia, la Romania etc. Ma se guardiamo al settore del lavoro siamo ultimi, l’Italia è in fondo alla classifica!
E qui veniamo al punto, ovvero al punto all’Ordine del Giorno.
La nostra segretaria generale ha lanciato l’idea di convocare una Assemblea Generale Nazionale interamente dedicata alle tematiche di genere. E’ un passo importante sulla strada della sensibilizzazione di tutta l’organizzazione, uomini compresi, alle battaglie per la parità, per il superamento delle disuguaglianze di genere. La ringraziamo per questa iniziativa, che consideriamo come l’inizio della condivisione di questa battaglia da parte di tutta l’organizzazione. Vogliamo quindi prepararla al meglio, focalizzando i temi che riterremo più importanti, a cui seguano azioni concrete.
Per evitare di presentare un almanacco delle disgrazie, passatemi il termine, delle tante ingiustizie che subiamo, abbiamo pensato di proporvi tre punti su cui focalizzare la AGN, che vi illustreremo in brevi interventi. Naturalmente siamo qui per condividere riflessioni con voi, ascoltare e valutare tutte le eventuali proposte che vorrete esprimere, tenendo sempre conto che l’efficacia del messaggio è bene si concentri su un numero molto ristretto di argomenti.
Siamo sindacalisti e sindacaliste, facciamo il nostro mestiere: la disuguaglianza più pesante per le donne è il Gender Pay Gap, quel 43% in meno che mediamente guadagnano le donne rispetto all’uomo, in Italia. Povere salariate che saranno povere pensionate. Le motivazioni che lo determinano già si conoscono in buona parte, ma è stato fatto qualcosa per rimuovere le cause? Questo attiene alla contrattazione di genere e ci interessa particolarmente. Per anni si pensava che la contrattazione di genere fosse far ottenere il part time alle donne, agevolare con permessi il lavoro di mamma e di regina della casa. La maternità, l’assistenza domestica, le 104, i part time falcidiano nel tempo il salario delle donne, e spesso viene accettato dalle donne stesse come un fatto “naturale”. A fronte del piagnisdeo sul calo demografico non si da nessun valore sociale alla maternità, anzi si vogliono colpevolizzare le giovani donne che non vogliono dare figli alla patria, a spese proprie naturalmente. I governi si lavano la coscienza con le pezze dei vari bonus ed elemosine.
Dobbiamo fare un atto di coraggio e mettere il naso nell’organizzazione del lavoro nelle aziende.
I sistemi premianti sono ancora di fatto fortemente basati sulla presenza, sulla presenza oltre l’orario di lavoro, sebbene nel nostro settore ci siano diversi buoni accordi sulla conciliazione tempi vita lavoro.
L’aver spostato pezzi anche consistenti di salario sulla parte variabile penalizza soprattutto le donne, per i motivi già detti.
La discrezionalità delle promozioni rallenta fortemente il percorso professionale delle donne. Finchè vigono degli automatismi donne e uomini vanno avanti insieme, appena interviene la discrezionalità c’è la frenata delle donne, intervenendo quindi anche il pregiudizio e lo stereotipo.
Con l’avvento dell’Intelligenza Artificiale (lo abbiamo visto a Catania) si rischia di peggiorare ulteriormente la situazione, perché se non siamo presenti e pressanti come sindacato avremo sistemi che incorporeranno i bias, renderanno regole i pregiudizi e gli stereotipi.
Sulla contrattazione dell’organizzazione del lavoro volta a ridurre il gender pay gap, e sugli altri due punti seguenti, o su altri se ne sceglieremo altri, pensiamo di costruire un momento di crescita nella AGN, eventualmente con il supporto di qualche ospite esperto, per tornare nelle aziende e nei territori con un bagaglio comune, uomini e donne.
Relazione 2
A Catania, come esecutivo, abbiamo esposto un approfondimento su salute e sicurezza, che partiva dal
Dossier Inail, che viene pubblicato ogni anno in occasione dell’8 marzo e specifica la tutela differenziata nei
luoghi di lavoro, dal fenomeno infortunistico alle malattie professionali, declinati al femminile, secondo le
principali variabili di interesse, che sono l’età, la nazionalità, il territorio, l’attività svolta, la modalità di
accadimento e le cause.
Evidenziammo che, nonostante l’Italia sia agli ultimi posti in Europa per occupazione femminile, le donne
lavoratrici italiane sono tra le più esposte a infortuni e malattie professionali.
Dal Dossier, in particolare, emergono vari aspetti legati al mondo del lavoro delle donne, connessi al loro
essere fortemente condizionate dal triplice ruolo di moglie-madre-lavoratrice.
Ve ne cito velocemente alcuni perché vorrei su questi argomenti solo stimolare vostri interventi ed avviare
con voi la discussione….Per esempio:
• le difficoltà di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro rappresentano una fonte di rischio sulla salute e sicurezza per la maggioranza delle lavoratrici.
• i dati, poi, dimostrano che la strada provoca in proporzione più infortuni tra le donne, perché maggiormente impegnate, appunto, nella conciliazione tra vita professionale e vita privata, con inevitabili ripercussioni sulla frequenza degli spostamenti e sui tempi di recupero dalla stanchezza.
Questo è un aspetto preoccupante anche in termini di salute mentale, poiché produce stress e aumenta, quindi, le probabilità che un infortunio accada.
• inoltre, negli ultimi anni, l’invecchiamento della forza lavoro, l’allungamento della vita lavorativa sta facendo aumentare la quota degli infortuni tra le over 50, perché ovviamente è aumentata l’esposizione al rischio ad infortuni e malattie professionali, in un fenomeno che investe tutti i settori produttivi ed in particolare espone proprio dappiù le lavoratrici.
Tutti questi fenomeni sono facilmente riscontrabili tra i dati che periodicamente le aziende ci mettono a
disposizione e quindi sono grandemente evidenti anche nel nostro settore.
In cgil stiamo proprio in questi giorni, lo sapete bene, affrontando il problema della sicurezza sul lavoro, c’è stato uno sciopero nazionale la settimana scorsa con manifestazioni che si sono svolte a livello locale, purtroppo incidenti che continuano a susseguirsi in un anno che è iniziato con dati inquietanti e purtroppo, questo governo non ritiene di voler iniziare un serio confronto sul tema della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.
La nostra categoria non conta per fortuna morti sul lavoro, siamo da sempre stati dispensati dagli studi quelli classici su salute e sicurezza…..il testo unico per la sicurezza sul lavoro, il d.lgs 81/2008, che ha lo scopo principale di minimizzare il numero di incidenti e limitare i rischi legati alle attività professionali, pesi, sforzi, da noi, non ci sono…per i lavoratori bancari tra i fattori di rischio c’era il rischio rapina……si è passati invece oggi a rischi che portano tensioni, incrementano lo stress ed il disagio lavorativo, impattando sulla nostra salute e che derivano dal tipo di organizzazione e dal clima esistente all’interno delle nostre aziende.
La tutela della salute oggi, in categoria, significa doversi difendere dallo stress da lavoro correlato (SLC), derivante dai carichi di lavoro e dagli stimoli incessanti alle vendite oltre che dai tanti input che arrivano simultanei, telefonate linch, mail, …tutto è urgente e va evaso sempre con immediatezza, non c’è una scala di priorità … sono tutte priorità.
Oggi, con il rinnovo del Ccnl Abi l’accordo sulle politiche commerciali è entrato nell’articolato e questo dimostra quanto sia centrale garantire davvero il BENESSERE psicofisico nei luoghi di lavoro, non solo a proclami, anche perché tra l’altro è uno dei doveri fondamentali del datore di lavoro, e lo stabilisce il testo unico 81/2008. “il datore di lavoro deve garantire l’incolumità, la sicurezza e il benessere dei lavoratori.”
Per le colleghe, inutile dirlo, c’è sempre una aggravante in più dovuta all’essere acrobate del tempo….avere a carico spesso in via esclusiva le preoccupazioni per le responsabilità familiari e per i compiti di cura che si aggiungono agli impegni lavorativi … questo affannarsi per raggiungere gli obiettivi commerciali, che siano politiche commerciali, pressioni, vere e proprie aggressioni o molestie…. il confine non è sempre ben delineabile, ma si percepisce in maniera preoccupante e sono sempre più in crescita le denunce per malattie professionali derivanti da fattori psicologici, riguardanti fenomeni di mobbing, sindrome da burn out e stress da lavoro correlato. Il disagio lavorativo determina disturbi fisici quali mal di testa, nervosismo e dolori muscolari in primis e può determinare assenze dal lavoro dovute alle patologie sofferte durante il lavoro assegnato.
La categoria è oggetto di studi ed approfondimenti da parte di molte Asl che stanno analizzando il fenomeno, con piani mirati di prevenzione e protezione, con la somministrazione di questionari per la percezione del rischio da parte degli stessi lavoratori e per evidenziare un fenomeno che sta crescendo in maniera molto molto sensibile e inizia a preoccupare. Parametri sotto osservazione sono ad esempio, l’utilizzo di farmaci… di psicofarmaci, i consulti psichiatrici, la percentuale di dimissioni volontarie, altro dato significativo che fa emergere chiaramente come il nostro lavoro sia sempre meno appetibile per giovani neoassunti, spesso nonostante non abbiano grandi alternative….
Tutto quanto detto è da considerare oggi, con un settore in piena trasformazione, con l’aggravio dell’innovazione digitale e dell’evoluzione continua dei modelli organizzativi, fattori che appesantiscono le ricadute sul lavoro e sul benessere in azienda….di qui una ulteriore potenziale minaccia che favorisce il passaggio veloce dallo stress al tecnostress.
Poi c’è il processo di desertificazione bancaria, che porta con sé una restrizione dell’occupazione ed è un ulteriore fattore stressogeno visto che diminuiscono gli addetti e su quelli che rimangono aumentano le pressioni commerciali direttamente connesse alla carenza degli organici esistenti.
Con il rinnovo del ccnl l’accordo sulle molestie è diventato parte integrante del contratto Abi e questo è un passo importante per la contrattazione di secondo livello e per provare a far rientrare nei documenti di valutazione dei rischi (DVR) delle nostre aziende anche il tema delle “Molestie e violenze” (fisiche e psicologiche) come materia oggetto di specifica valutazione. Dai dati Inail (non di categoria) emerge che il 3% di tutti gli infortuni femminili avvenuti in occasione di lavoro e riconosciuti dall’Inail riguarda il fenomeno delle aggressioni e/o violenze subite dalle lavoratrici.
Altri elementi che appesantiscono il lavoro in categoria e sono fattori stressogeni per le colleghe, …ve li cito soltanto, perché peggiorano la salute mentale delle colleghe, o dico meglio…ne aumentano la fatica, il fattore gender gap, ma ne ha già parlato bene….i percorsi di carriera, spesso ad ostacoli per le colleghe, se intrapresi durante la gravidanza, i premi, cioè la parte variabile del salario, spesso legati alla presenza, ed anche in questo siamo pregiudicate visto che abbiamo sempre da fare, abbiamo lasciato sempre qualcosa di incompiuto, ci serve il part-time perché dobbiamo correre, non siamo brave a condividere i pesi, siamo multitasking….insomma……su tutti questi temi dobbiamo lavorare forse anche su noi stesse, ma per noi che abbiamo scelto di fare sindacato significa che dobbiamo incidere con la contrattazione e non possiamo demandare ad altri questi temi che ci toccano da vicino, nel tempo che è nostro, che è la prima risorsa preziosa, ci toccano e molto economicamente ed ormai iniziano a ledere anche il nostro equilibrio fisico e mentale.
Relazione 3
Care compagne, il tema di cui vi parlerò è il Linguaggio di Genere, uno di quegli argomenti sul quale ho riflettuto ripetutamente sin dall’esordio della mia presa di coscienza femminista e cioè dai tempi del liceo! Mi piace iniziare citando una grande attrice da sempre amata e che quest’anno ha fatto il “botto” con il suo bellissimo film “C’è ancora domani”, Paola Cortellesi. Durante la premiazione del David di Donatello nel 2018, recitò un monologo sul potere evocativo delle parole e sul maschilismo dell’italiano: “È impressionante vedere come nella nostra lingua alcuni termini che al maschile hanno il loro legittimo significato, se declinati al femminile assumono improvvisamente un altro senso, cambiano radicalmente, diventano un luogo comune, un luogo comune un po’ equivoco che poi a guardar bene è sempre lo stesso, ovvero un lieve ammiccamento verso la prostituzione. Vi faccio degli esempi.
Un cortigiano: un uomo che vive a corte; Una cortigiana: una mignotta. Un massaggiatore: un cinesiterapista; Una massaggiatrice: una mignotta. Un uomo di strada: un uomo del popolo; Una donna di strada: una mignotta…
Sono solo parole, ma la discriminazione nei confronti delle donne parte proprio da qui. Io che sono donna le sento da tutta una vita e non me ne sono mai accorta. Sono soltanto parole, certo, però se fossero la traduzione dei pensieri allora sarebbe grave, sarebbe proprio un incubo.
Un incubo che, quotidianamente, assume i contorni della realtà.
Sappiamo che il linguaggio è componente necessaria per la comunicazione, la quale non è costituita solo da ‘messaggi’, ovvero non esprime solo un contenuto, ma anche una relazione. Ogni volta che parliamo o scriviamo qualcosa trasmettiamo cioè, oltre al messaggio stesso, il nostro modo di vedere il mondo e parte dei nostrischemi mentali. Inoltre, l’uso che facciamo del linguaggio al tempo stesso riflette e influenza il nostro modo di pensare e di agire. Si può ben dire quindi che il linguaggio è il principale mezzo di espressione di pregiudizi, di discriminazioni e di stereotipi. È perciò importante parlare e scrivere consapevoli del fatto che il linguaggio stesso è uno degli elementi in grado di creare schemi mentali e sclerotizzare modelli di comportamento sbagliati. L’adozione di un linguaggio inclusivo è uno strumento per promuovere l’uguaglianza di genere. Sebbene non facilmente riconoscibile come forma discriminatoria, l’uso di un linguaggio non inclusivo lo è di fatto in maniera nascosta e molto più subdola rispetto a un palese comportamento sessista. Si tratta di adottare delle scelte linguistiche ben precise che si rispecchiano in politiche che vanno nella direzione dell’inclusività e dell’eguaglianza di genere. Noi sindacaliste dobbiamo perseguire e accompagnare questo cambiamento, scardinando quelle consuetudini che hanno visto messa in secondo piano, se non ignorata, la presenza femminile. Occorre promuovere l’utilizzo di un linguaggio non sessista nella comunicazione orale, nei documenti e nelle comunicazioni interne, incoraggiandone l’applicazione, perché la lingua non si modifica con una legge, ma con le abitudini e l’uso costante.
Vi racconto cosa mi è successo recentemente: dovendo sottoscrivere delle conciliazioni nella mia azienda, ho visionato il primo verbale dove sono stata definita la dott.ssa Giulia Farinelli quale “conciliatore”, ho pertanto richiesto al responsabile del personale che fosse tutto declinato al femminile, a distanza di pochi giorni è accaduto di nuovo ed ho proceduto con la seconda richiesta di modifiche. L’apoteosi, però, è stata raggiunta quando una responsabile del personale mi ha inviato un verbale dove oltre ad essere io un conciliatore, era presente anche il “lavoratore” LILIANA XXXX, neanche alla collega iscritta era stato riconosciuto il diritto di essere nominata al femminile! A riprova di come gli stereotipi agiscano discriminando le donne e nonostante questa volta il testo fosse stato redatto da una donna, lei stessa abbia automaticamente utilizzato un linguaggio al maschile. Le parole, all’apparenza innocue, incidono sui comportamenti nostri e di chi ci circonda, oltre che poter risultare offensive. Occorre evidenziare l’importanza di utilizzare sempre e in ogni contesto un linguaggio inclusivo e non discriminatorio. Solamente un linguaggio che non favorisce un genere rispetto a un altro promuove l’equità tra i generi. Ciò contribuisce a sfidare e cambiare le strutture di potere esistenti nella società, costruite su presupposti sessisti.
Quali quindi potrebbero essere delle buone prassi?
Vediamo allora come e quando utilizzare il linguaggio di genere.
QUANDO ► Nei comunicati, nelle convocazioni, nei direttivi, nelle assemblee generali, nelle mail interne, nel nostro regolamento/ statuto, etc..
► Nelle comunicazioni ufficiali con i lavoratori e le lavoratrici, con le RSA
► Utilizziamolo nelle piattaforme e nei CIA (nella stesura della piattaforma Ania lo abbiamo fatto, così come in quella di Assicoop) sostituendo i termini non inclusivi, come ad esempio maternità con genitorialità; queste buone pratiche si tramutano in estensione di diritti.
COME ►Le soluzioni inclusive possono essere: utilizzare parole neutre o nomi collettivi (es. i dipendenti, le dipendenti = personale dipendente; gli utenti, le utenti= l’utenza); oppure declinare anche al femminile il soggetto della frase (es. lavoratori e lavoratrici)
► Privilegiare l’uso della forma passiva e impersonale, che permette di non esplicitare l’agente dell’azione, ad esempio “la richiesta deve essere fatta” invece di “il lavoratore, la lavoratrice deve fare la richiesta”
► L’uso dell’asterisco al termine della parola, es. Car* compagn*
Il linguaggio di genere gioca un ruolo cruciale nel plasmare la nostra comprensione e rappresentazione della realtà, per questo ha il potere di promuovere una società più equa e inclusiva. È fondamentale che continuiamo a riflettere e a interrogarci sulle nostre pratiche linguistiche perché NON SI PUÒ NON COMUNICARE!!
Vi lascio con una riflessione di un’attivista, scrittrice e ambientalista che amo, Arundhati Roy: Le parole sono,naturalmente,la cosa più potente cheabbiamo.
Possono infrangere la roccia o spezzare il cuore, possono suscitare compassione o rabbia, possono illuminare l’oscurità.
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