A due settimane dall’esito delle consultazioni elettorali europee, che hanno visto il coinvolgimento di quasi 359 milioni di cittadine e cittadini europee/i, è possibile tracciare e condividere in maniera più lucida un’analisi delle risultanze emerse. O almeno ci si può provare.
Per quanto l’affermazione della destra radicale in Francia e Austria costituisca un elemento politico molto preoccupante e rilevante e benché il successo raggiunto da AFD in Germania (in realtà reso maggiormente visibile dalla netta contestuale flessione della SPD) possa considerarsi in linea con risultati elettorali già raggiunti nel recente passato, l’ondata di destra che avrebbe dovuto sconvolgere gli equilibri politici della governance europea non c’è stata. I due raggruppamenti parlamentari riconducibili alla destra, ovvero “Riformisti e Conservatori” da una parte e “Identità e Democrazia” dall’altra, hanno sostanzialmente confermato il numero di deputati che avevano nella precedente legislatura, attestandosi su posizioni ben distanti dal raggiungimento di un risultato con cui speravano di modificare gli equilibri politici continentali.
Proprio in queste ore sembra infatti consolidarsi – ancora una volta – la maggioranza “Ursula 2”, formata da popolari, socialisti e liberali: Ursula Von der Leyen (popolari) confermata alla Presidenza della Commissione UE, Antonio Costa (socialisti) candidato alla Presidenza del Consiglio UE, Kaja Kallas (liberali) candidata come Alto Rappresentante UE. Cosa possiamo quindi desumere da tutto ciò?
Lo scenario complessivo sembrerebbe caratterizzato da due tendenze di fondo, in parte contrastanti: la prima consistente in una sorta di ritorno alla normalità, la seconda in una conferma della ciclicità del populismo.
A riprova della prima tendenza, abbiamo da una parte il risultato molto positivo conseguito a livello europeo dal Partito Popolare e dall’altra la tenuta dei socialisti. A perdere, in termini di eletti, sono soprattutto i Verdi, i centristi di Renew Europe e la sinistra del Gue. Probabilmente siamo di fronte – per la prima volta negli ultimi trent’anni – ad una sospensione, del ciclo populista che ha caratterizzato il campo politico europeo (e non solo) post guerra fredda. Non perché non ci siano più in campo forze politiche, anche consistenti, definibili come populiste, ma piuttosto perché sono mutate le modalità attraverso le quali si è provato ad intercettare il consenso.
Accennavamo ad una seconda tendenza fondata sull’andamento ciclico delle forze populiste: periodicamente esse caratterizzano i sistemi politici quando le forme ideologiche e organizzative consolidate tramontano, sebbene non siano ancora emerse forme nuove di aggregazione del consenso. Questo è quanto successo alle forze politiche riconducibili alla sinistra dopo il 1989. La destra, seppur nelle sue variegate forme, è invece sempre politicamente riconoscibile, anche quando utilizza il populismo come schermo retorico. Del resto i temi e i problemi strutturali che caratterizzano lo scenario nazionale e internazionale (distribuzione della ricchezza e delle risorse, antinomia Occidente/resto del mondo, crisi climatica, guerra, ristrutturazione del capitalismo globale e del sistema delle relazioni internazionali), potrebbero favorire un ritorno ad una più classica dialettica sinistra/destra (come avvenuto proprio in Italia con un’accentuazione del bipolarismo, paradossalmente occorso in una consultazione dove è stato adottato integralmente il sistema proporzionale con soglie di sbarramento che variano da paese a paese); nel contesto europeo, invece, diverse sinistre hanno raggiunto buoni risultati anche stando all’esterno delle coalizioni e dei partiti principali.
I prossimi mesi saranno determinanti per capire come la fase in atto potrà evolversi e consolidarsi, facendo refluire in maniera più convincente i populismi: la guerra in Ucraina e il tema del sostentamento energetico correlato alle esigenze climatiche saranno le leve attraverso le quali sarà possibile definire le dinamiche di aggregazione degli interessi politici ed economici nella UE del prossimo futuro.