Msf: le donne in gravidanza ci implorano ma non abbiamo razioni sufficienti per aiutarle I bambini raccolgono le foglie per nutrirsi “Dateci da mangiare, anche solo una volta”
LA TESTIMONIANZA MARTINA MARCHIÒ GAZA CITY
Le pareti di alcuni edifici sembrano fatte di cartapesta quando si frantumano a causa di un colpo deciso. L’altro giorno ero in terrazzo, nell’edificio in cui vivo con i miei colleghi di Medici senza Frontiere a Gaza City, quando è stata sganciata una bomba a meno di 150 metri da noi.
È proprio vero che quando attaccano vicino a te non senti nulla prima, nessun rumore che possa prepararti al colpo. Me l’aveva detto un mio collega la prima volta che sono rimasta terrorizzata: «Se lo senti vuol dire che non è per te, altrimenti non senti niente e sei già morto». Con grande lucidità mi metto a correre verso la mia camera, prendo il mio zainetto che è sempre pronto, e scendo velocemente giù per le scale verso la stanza al piano terra. Ho il cuore in gola, cerco di calmarmi eppure mi tremano le mani. Mi siedo per terra, pochi minuti dopo un colpo più forte fa tremare le pareti e i vetri della finestra, che avevamo lasciato aperti per evitare che scoppiassero. Mi sembra di osservare il mondo a rallentatore, vedo lo spostamento dell’aria, i muri che tremano, ci buttiamo a terra. Restiamo per tutta la notte in questa stanza, un’esplosione dopo l’altra fino all’alba. La situazione continua a degenerare, e oltre alla violenza bisogna sopravvivere alla fame.
Al Sud è cominciata la distribuzione organizzata dalla Ghf in un numero insufficiente di punti di distribuzione, con una gestione militarizzata e con persone stipate sotto al sole cocente, spari sulla folla e umiliazioni continue.
La nostra clinica continua a straripare di pazienti di ogni età, aumentano anche i casi di bambini e donne in gravidanza che soffrono di malnutrizione acuta.
La maggior parte delle persone ci chiede qualcosa da mangiare, ho visto anziani, adulti e bambini piangere per la fame.
Alcuni non mangiano da tre o quattro giorni, restano in lacrime e guardano il vuoto. Ieri di fronte alla clinica c’erano due bambini con dei sacchetti in mano. Cercavano tra le macerie, raccoglievano delle foglie.
Ho chiesto alla mia collega Kholoud che erba fosse, mi ha detto che sono foglie che crescono a bordo strada. Prima nessuno si sarebbe mai sognato di mangiarle, ora invece i bambini le raccolgono e la loro mamma le preparerà per cena.
Mi sento spesso impotente ultimamente, mi è capitato anche pochi giorni fa quando due donne si sono messe a piangere disperate chiedendo di ricevere del cibo terapeutico per pazienti malnutriti. È difficile non poter rispondere a un bisogno primario come il cibo.
«Una sola volta, ti prego! Una sola volta!» dicevano e piangevano forte. Una delle due, in gravidanza, indicava la sua pancia, l’altra mi ha messo davanti il suo bambino. Ho detto loro che non era possibile non essendo malnutrite, ho spiegato che a malapena riusciamo a rispondere ai bisogni dei pazienti affetti da malnutrizione. Mi hanno guardato e in quegli occhi ho visto tutta la disperazione di chi non ha scelta. È difficile fare questo lavoro. Quando si arriva a dover scegliere, a dover dire di no, a dover accettare scelte di altri che stanno decidendo sulla vita di un intero popolo. Non so quante persone reggerebbero senza ammalarsi. Siamo in ballo ogni giorno, un’altra giornata che finisce anche oggi.
La dispensa è particolarmente vuota, ho fame. «Sono fortunata» mi ripeto più volte al giorno, ma questa sera vado a letto con la fame. Io che un letto ancora ce l’ho. Neanche i morti nella fossa comune di fronte all’ospedale Al-Shifa possono riposare in pace, qualche giorno fa un missile si è schiantato proprio a pochi metri da loro. Figuriamoci i vivi, che ancora camminano per la strada.
— Responsabile medica di Medici Senza Frontiere a Gaza City