A minare la sopravvivenza del Contratto Nazionale ci provarono i banchieri di ABI all’inizio del 2015 in occasione della vertenza di rinnovo del nostro contratto. Il piano era quello di assestare un colpo mortale al CCNL ridefinendo le previsioni dei trattamenti economici e normativi comuni del settore in un contesto di arretramento dei diritti e delle tutele. Questa premessa è necessaria per inquadrare il tentativo posto in essere da questo Governo di svendere quanto resta della tutela del lavoro nell’Italia post Jobs Act: il Contratto Nazionale. Del resto era uno dei punti sostanziali della lettera della BCE dell’agosto 2011 – ricordate? – in cui si legge: “C’è anche l’esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione.” E’ questa l’ultima “misura essenziale” mancante alle imposizioni contenute nella “lettera” della BCE dopo la “piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali…attraverso liberalizzazioni su larga scala” (riforma Madia), la “revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti” (Jobs Act), l’introduzione di “più rigorosi i criteri di idoneità per le pensioni di anzianità” (riforma Fornero). Che sia possibile azzerare i Contratti Nazionali per crearne altri aziendali lo testimonia il “modello Marchionne” (gruppo FCA/Fiat) dopo l’uscita da Confindustria. La ricetta “europea” (del resto, come diceva un ex Presidente del Consiglio, “…ce lo dice l’Europa) di Recuperare produttività attraverso la deflazione salariale (leggi abbassamento dei salari) è la merce di scambio che il Governo mette sul tavolo della Commissione UE in cambio di una concessione di maggiore flessibilità sui conti pubblici. Ormai è l’ultimo colpo in canna. Peraltro è’ l’obbiettivo dichiarato del Governo Renzi, riportato da tutta l’informazione, dopo l’incontro di Ventotene, anche per ammissione del viceministro del Tesoro: attraverso la detassazione dei contratti di secondo livello, quelli aziendali, il Governo punta a introdurre la revisione del modello contrattuale. I contratti aziendali potranno altresì prevalere su quelli nazionali in materie legate all’organizzazione del lavoro e della produzione, orari, turni di lavoro e la parte del salario legata alla produttività: appare quindi ovvio come una minore forza contrattuale dei lavoratori nelle singole imprese apra la strada a un potere unilaterale nelle mani del datore di lavoro. E’ di plastica evidenza che il combinato disposto di un’Europa monetaria, soggiogata ai diktat del Capitale, e la presenza di Governi pronti a inchinarsi ai voleri del Capitale è il vero nemico dei Diritti, dei Salari delle tutele e delle garanzie: questa contrapposizione è oramai evidente ad ogni cittadino europeo. Se a questo quadro si associa la deriva regressiva di riduzione sostanziale degli spazi democratici attraverso le modifiche alla Carta Costituzionale, sulla cui riforma l’Assemblea generale della CGIL ha espresso, pur nella libertà di scelta di ciascuno, una posizione di contrarietà, potremo avere “completo” il ritorno a condizioni di vita, lavoro e democrazia non del secolo scorso, ma di un nuovo ottocento tecnologico. Contrastare questi tentativi di arretramento non è solo necessario ma indispensabile anche attraverso un deciso utilizzo dello strumento democratico del Voto. Bologna, Parma, 21 settembre 2016 Segreterie Fisac Isgs Area Emilia Est / Ovest