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CGIL 1 – Jobs Act 0
Il Comitato Europeo dei Diritti Sociali accoglie contestazioni Cgil sul Jobs Act riconoscendo che viola il diritto dei lavoratori e delle lavoratrici a ricevere “un congruo indennizzo o altra adeguata riparazione”
UNA BUONA, OTTIMA NOTIZIA PER GLI ASSUNTI DOPO IL 7 MARZO 2015. Dopo anni di discussioni, reclami, battaglie legali, portate avanti in solitudine dalla CGIL, arriva finalmente il riconoscimento del Comitato di Strasburgo che censura in particolare il regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo di cui al decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (c.d. Jobs Act) perché non garantisce una tutela adeguata al lavoratore, negando la reintegrazione o un pieno risarcimento del danno subito.
Il Comitato europeo dei diritti sociali ha deciso il Reclamo collettivo n. 158 del 2017 accogliendo tutte le contestazioni espresse dalla Cgil ed ha riconosciuto che il decreto legislativo n. 23/2015 è in contrasto con l’art. 24 della Carta sociale europea riveduta (Trattato internazionale che, insieme alla Convenzione europea dei diritti umani, completa il sistema di riconoscimento e di garanzia dei diritti umani fondamentali). L’art. 24 della Cser sancisce il diritto di ogni lavoratore ingiustamente licenziato di ricevere una tutela effettiva e realmente dissuasiva nei confronti di comportamenti arbitrari del datore di lavoro. Vale a dire che al lavoratore deve essere garantita la reintegrazione nel posto di lavoro oppure, se questa non è concretamente praticabile, un risarcimento commisurato al danno subito, senza “tetti” di legge che limitino il potere del giudice nel quantificarlo. Il Comitato ha riconosciuto che il sistema sanzionatorio del licenziamento illegittimo configurato dal decreto legislativo n. 23/2015, anche dopo le modifiche apportate dagli interventi del legislatore (decreto legge 12 luglio 2018, n. 87, convertito nella legge 9 agosto 2018, n. 96) e della Corte costituzionale italiana (sentenza n. 194 del 2018), resta privo dei requisiti di effettività (rispetto al ristoro dei danni subiti dal lavoratore) e deterrenza (rispetto al comportamento illegittimo del datore) richiesti dall’art. 24 della Cser. Infatti la legislazione italiana vigente esclude a priori la possibilità di essere reintegrati nella maggior parte dei casi di licenziamento (fatte salve alcune rare eccezioni) e fissa l’importo massimo dell’indennizzo erogabile al lavoratore: 36 mesi di retribuzione per i dipendenti di imprese medio-grandi; 6 mesi per quelli delle piccole imprese (cioè quasi la metà del totale della forza lavoro italiana). Ciò impedisce al giudice ogni possibilità di valutare e di riconoscere l’eventuale danno supplementare subito dal lavoratore a seguito del licenziamento.
Segnaliamo che anche nel nostro settore si stanno facendo passi in avanti nella direzione di una revisione della materia. Nel recente rinnovo di CCNL è stata inserita dichiarazione delle Parti che auspicano un intervento legislativo per il superamento, a tutela di lavoratrici/tori, della normativa in tema di licenziamento illegittimo.
È necessario proseguire per una revisione strutturale dell’impianto legislativo del Jobs Act riconoscendo diritti e dignità per il lavoro e per chi lo svolge. E la via da seguire nel nostro ordinamento esiste già: è rappresentata dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, dal quale è necessario ripartire.