UNA RIFLESSIONE: C’era una volta il trainer
C’era una volta il secondo livello trainer, una figura di importanza e rilievo che l’azienda aveva definito con compiti specifici e che istruiva e formava con opportuni corsi allo scopo di affiancare e far crescere risorse. Gli Op che sono da più tempo in compagnia ricordano senza dubbio questo incarico. Era un obiettivo ambito da tutti, uno step importante da raggiungere, e tanto impegno veniva profuso al fine di poter anticipare questo passaggio di livello. In questo ruolo “si diventava grandi” all’interno dell’azienda. Non era un semplice passaggio da Venditore a Venditore più Esperto, non venivano valutati solo i numeri in modo
algido, ma si prendevano in considerazione (almeno questo veniva detto) altre caratteristiche personali oltre che lavorative. Perché tanto ambito? Semplice, qualsiasi richiesta di percorso di crescita poteva avvenire solo se si era raggiunto il secondo livello in cui si potevano dimostrare altre attitudini (sempre così veniva detto), ed in questa qualifica si modificava la qualità del lavoro aggiungendo una diversificazione importante nei compiti da svolgere. Bisognava dimostrare la capacità di gestire le persone…, non si era più solo commerciali.
Per tanti, difatti, segnava una netta distinzione tra il lavoro svolto da primo livello e quello che si andava a fare: ispirandosi ai Trainer che ognuno aveva avuto, oltre alle possibilità di presunta carriera, si andava fieri di svolgere un compito in cui si poteva dare e mettere umanità, in cui ci si faceva conoscere in toto mettendo alla luce quelle qualità che oggi non contano più niente. Da allievi si diventava maestri.
In questo ruolo la monotonia e ripetitività del lavoro veniva interrotto dall’impegno di trasferire ad altri la sapienza. Il trainer doveva insegnare il lavoro, la metodologia, gli aspetti tecnici, le finezze commerciali, la pianificazione, ed anche regole e norme per avvicinare o interagire con le persone. In molti casi si diveniva un istruttore di argomenti non necessariamente legati al lavoro. Non era una figura cattedratica, non si era in una posizione di prestigio rispetto ai discenti, ma passo passo era un modo di sciogliere tutte quelle difficoltà che si incontravano coprendo anche ruolo “psicologico”, di sostegno allorquando gli stagisti (ovvero i collaboratori che volevano passare a posizioni contrattuali indeterminate) avevano delle delusioni, amarezze e difficoltà: si diveniva confidenti.
Seppure i trainati vedevano il loro “docente” con un riguardo ed una importanza maggiore al dovuto, si creavano dei legami che duravano e durano nel tempo; nel tempo trascorso insieme, per ovvie ragioni, oltre che di lavoro in senso stretto si parlava anche di altro, creando dei rapporti umani e veri basati sulla fiducia e sull’amicizia. Il trainer faceva di tutto per render leggera l’attività ed infondere positività ed ottimismo.
Il compenso di questa attività, che distoglieva parecchio tempo alla normale attività di raccolta e conseguente redditività, era il riconoscimento della seconda firma sui contratti sottoscritti dal “seguito”, ma si aveva soprattutto un compenso di natura emozionale: non hanno prezzo il sapere di aver contribuito nell’esser stati utili a persone, a farle crescere ed insegnato una professionalità che altri non hanno, ma l’appagamento più importante era l’affetto e la stima con cui si veniva ricambiati.
La compagnia, nella certezza e nell’importanza di questo ruolo, organizzava dei corsi specifici, spesso presso la Direzione di Mogliano Veneto, per istruire ed impartire le modalità di approccio a questo ruolo, persino con corsi ad hoc di “trainer consolidato” quando le risorse inserite e quelle da seguire divenivano veri e propri gruppi di lavoro. E’ innegabile l’ansia che prendeva ed invadeva un po’ tutti gli OP che dovevano recarsi a questi corsi: varcare quei cancelli ed entrare nel palazzo camminando al lato della fontana con il leone dava emozioni e l’illusione di sentirsi importanti per un’azienda che investiva sulle persone.
Era uno dei pochi modi di conoscere quella realtà fantomatica.
All’improvviso, queste mansioni il secondo livello non ha potuto più realizzarle.
Ci si è accorti che non potevano essere attribuite perché in contrasto con il dettato del C.C.N.L. e non per sopraggiunte incapacità personali di tutti i secondi livelli trainer, che sono stati esonerati perché fino ad allora avevano svolto mansioni da terzo livello pur ricevendo lo stipendio da secondo livello.
Molti hanno accusato il colpo di una “rimozione dal grado”, e per altrettanti sono venute a mancare sicuramente quelle spinte per un ringiovanimento ed un rinnovamento della professionalità, che prima erano necessarie per stare al passo con l’evoluzione dei giovani da seguire ed erano uno sprone nel lavoro. Come mai tutti quei secondi livello trainer che hanno portato a successo ed assunzione tante risorse ed hanno avuto anche riconoscimenti aziendali non sono stati proposti o promossi a Tutor?
Questa figura oggi svolge la medesima attività con un livello contrattuale più alto e una migliore retribuzione.
Nonostante i successi ottenuti e formalmente verificabili dalle “seconde firme” sui contratti, rimane l’amarezza per molti di essere stati messi da parte, rimane il rancore di aver svolto con impegno ed amore mansioni ed attività non dovute, sobbarcandosi responsabilità e levando tempo alla propria attività personale riducendone i compensi, senza ottenere ed avere le giuste considerazioni.
Il passare del tempo ha portato comunque diversi secondi livelli a divenire terzo, ma senza l’attività di affiancamento.
Se prima si potevano seguire e formare persone con pochi anni di Compagnia alle spalle, come mai ora che si ha più esperienza non si è più in grado? Queste decisioni aziendali da cosa hanno avuto origine? Come distinguere un OP che si è dedicato con successo all’ingresso di nuove leve rispetto ai paritetici che non lo hanno fatto mai?
Alcuni brevemente hanno risposto che il passato è passato, ma risulta sempre difficile da accantonare quando si è fatto qualcosa in cui si credeva.
A.P.