Oplà n°30 – Formazione senza METODO


NUOVO MODELLO OP: Salario minimo e dignità umana


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Crisi dei mercati finanziari, crisi pandemica, crisi legata al conflitto russo-ucraino, aumento spasmodico dell’inflazione hanno aggravato la situazione economica di molte famiglie italiane. Troppo spesso si fatica ad arrivare a fine mese, e tante altre volte le famiglie economicamente più fragili si ritrovano a dover scegliere quali spese tagliare pur di portare un pasto in tavola. E questo, ahinoi, nonostante si abbia un lavoro e quindi si produca reddito.
Di salario minimo tanto si è parlato negli ultimi mesi e tanto ancora ne sentiremo discutere. Ma cosa è il salario minimo e perché in un periodo in cui la maggior parte di noi è pronta a farsi paladino di una società che garantisca l’accesso a tutti in modo equo alla ricchezza e alle opportunità, è tanto difficile promuoverlo come un possibile mezzo per ridare dignità al lavoratore e alla sua umanità?
Per l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL, o ILO secondo l’acronimo inglese), il salario minimo può essere definito come la retribuzione più bassa che un datore di lavoro è tenuto a corrispondere a un lavoratore a fronte della sua prestazione. Retribuzione che non può essere ridotta né da accordi individuali né dalla contrattazione collettiva (ILO 2021).
Il salario minimo, in sostanza, è una misura che si rivolge ai lavoratori dipendenti. Rappresenta la possibilità di garantire per legge a tutti i lavoratori l’accesso, attraverso lo svolgimento di una mansione, ad una soglia minima mensile, o oraria, di denaro, al di sotto della quale le aziende non possono scendere. Da molti punti di vista, il salario minimo sarebbe una misura di forte impatto sociale, perché andrebbe ad aumentare lo stipendio di molti lavoratori che al momento, pur lavorando, si trovano in situazioni economiche precarie. Contrasterebbe, ad esempio, il fenomeno dei così detti “working poors”, o più italianamente “lavoratori poveri” cioè tutti quei cittadini (soprattutto donne) che, pur svolgendo un lavoro, anche a tempo pieno, non sono in grado di provvedere a tutti i propri bisogni pesando così negativamente sul bilancio familiare.
Se consideriamo che in Italia, paese considerato “civile”, secondo quanto attestato dai dati Inps, i rapporti di lavoro che prevedono un salario al di sotto dei 9 euro lordi sono più di 4 milioni, allora dovremmo chiederci come si può continuare a non far nulla per i più deboli.
Forse semplicemente perché se da una parte una misura di questo tipo andrebbe ad influire sui lavoratori, che percepirebbero sempre un importo minimo di denaro, dall’altra parte andrebbe a mettere all’angolo tutte quelle aziende che non potrebbero più assumere “a saldo” ma dovrebbero di contro garantire uno stipendio di base indicato dalla legge.
Altro spunto di riflessione è che a livello europeo l’Italia è uno dei pochi paesi a non aver ancor introdotto il salario minimo insieme a Austria, Finlandia e Svezia, Ma mentre in questi ultimi tre paesi i salari sono cresciuti, In Italia, invece, l’Ocse calcola che dal 1990 al 2020 il salario medio di un lavoratore è sceso del 2,9 per cento.
In un paese, il nostro, la cui Carta Costituzionale declama all’art. 36 che:
“Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa….”
Faccio davvero tanta fatica a capire come possiamo continuare a sopportare lo sguardo troppo distratto delle istituzioni che continuano a calpestare la dignità di tutti quei lavoratori che si trovano a rischio di povertà e di esclusione sociale. E, a tali condizioni, più difficile mi è capire come si possa ancora considerare nobilitante il lavoro che invece ci aliena, ci umilia e ci fa sentire intrappolati in una realtà dove non a tutti è concesso vivere a pieno la vita!

Paola Boccia

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