Gr. Bper. “Non ti pago!” L’infinita lotta per i rimborsi della polizza sanitaria

Sono una bancaria. Il mio lavoro mi fa innervosire, mi fa stancare, qualche sera mi fa tornare a casa avvilita e sfiduciata.

Ma per molti versi sono anche una privilegiata, perché lavorare in banca mi dà una serie di vantaggi che non tutte le persone che lavorano riescono ad ottenere. Per esempio la polizza sanitaria: grazie agli accordi stretti con i Sindacati, la banca paga per me e per i miei familiari un premio annuo che una famiglia media non potrebbe permettersi.

Certo, il fatto di vivere in una zona nella quale non ci sono strutture sanitarie convenzionate mi penalizza. Se ho bisogno di una visita specialistica non posso usufruire dell’assistenza diretta, quindi devo anticipare il pagamento e aspettare il rimborso. E sul rimborso pago la franchigia. Ma di questo non posso fare una colpa alla compagnia assicurativa. Anche se… a dire il vero anche nella mia zona ci sarebbero strutture che potrebbero convenzionarsi, se solo l’assicurazione fosse un po’ più generosa nel pagare le loro prestazioni. Quindi, in fondo in fondo, un po’ è anche colpa della compagnia se non posso usufruire dell’assistenza diretta.

Devo dire che, nei limiti del possibile, cerco di non ricorrere alla sanità privata. Anche a costo di prendere appuntamenti con oltre un anno d’anticipo, perché a furia di tagli il livello del servizio pubblico è questo. Ma proprio per questo cerco di non andare in strutture private: perché usufruire delle ASL e non portare soldi ai privati è il mio modo di difendere il Servizio Sanitario Nazionale. E tutto sommato questo mi facilita anche nel rapporto con la compagnia assicurativa: devo pagare solo il ticket, la polizza prevede il rimborso pieno dei pagamenti al SSN. Quindi tutto facile: apro la app, faccio la foto alla fattura e aspetto il rimborso.

Tutto facile. O almeno, così dovrebbe essere.

In realtà, ogni volta che invio una richiesta di rimborso si apre una lotta senza esclusione di colpi con la compagnia. Dovrei ricevere l’accredito, e invece mi arriva un’email nella quale mi si dice che non l’otterrò. Le motivazioni sono state finora le più disparate: “prestazione non prevista in polizza” (e non è vero), “invia copia dei documenti già in tuo possesso da cui si comprenda la prestazione effettuata” (e sulla fattura è scritta in neretto, in modo inequivocabile), “documento di pagamento non valido fiscalmente” (parlando di una ricevuta PagoPA). Oppure senza spiegazioni: “L’importo non verrà rimborsato”. Perché? “Perché no!
La risposta più bizzarra è arrivata in occasione di un piccolo intervento, per il quale non è prevista franchigia in assenza di strutture convenzione nel raggio di 50 Km. Avendo dimostrato che la struttura più vicina distava 52 Km (e già la quantificazione della distanza era stata oggetto di trattativa…) mi sono sentita rispondere che non mi avrebbero rimborsato perché “la distanza è equivalente”.

Dovrebbe essere tutto facile. Invece è diventato un lavoro. Anche mal pagato, perché nella maggior parte dei casi l’importo dei mancati rimborsi non supera i 36 euro. Una somma per la quale viene la tentazione di lasciar perdere. E questo la compagnia lo sa bene. Quante volte le mie colleghe o i miei colleghi avranno pensato: “non vale la pena di perderci tempo: lo porto in detrazione o lo rimborso col welfare”? Credo tante. Talmente tante da far venire il dubbio che questi mancati rimborsi siano una strategia, un modo non proprio correttissimo per risparmiare: 20 o 30 euro, moltiplicati per migliaia di casi, diventano bei soldi.

Io però ho la testa dura. Ogni volta inoltro un reclamo contro il mancato rimborso. Ieri ho inviato il sesto nel giro di un paio d’anni. Nei precedenti 5, quattro volte la compagnia ha ammesso l’errore. Nel quinto hanno vinto loro: mi hanno preso per stanchezza, ci ho rinunciato. Il momento più buffo è quando si viene chiamati al telefono da operatori o operatrici: fanno tenerezza nel loro tentativo di addurre spiegazioni che non reggono, di giustificare un errore che “rappresenta un’eccezione rarissima” mentre in sottofondo sembra di sentire un rumore che somiglia molto allo stridore di unghie contro un vetro. E alla fine il reclamo si conclude con una lettera, nella quale la compagnia porge “le nostre scuse per l’inconveniente occorso”. Aumentando l’incazzatura, e alimentando il rimpianto per l’esito del reclamo, che se fosse stato respinto avrebbe potuto essere inoltrato ad Ivass.

Sono una bancaria. E penso che la mia banca dovrebbe pretendere un servizio migliore, considerando il premio  che paga.

 

UNA LAVORATRICE DEL CREDITO

 

P.S. Ogni riferimento a fatti realmente accaduti non è casuale. Neanche un po’. Tutto quello che ho raccontato è ampiamente documentabile

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