
Non ci sarebbe bisogno di statistiche o studi analitici: ogni volta che andiamo a fare la spesa ci accorgiamo che riempire il carrello ci costa un po’ di più, e il nostro stipendio ci sembra sempre più misero. In più arriva l’Istat a legittimare questa sensazione, documentando una riduzione del potere d’acquisto degli stipendi pari all’8,8% in quattro anni. Cosa significa questo? Che anche se gli stipendi aumentano nominalmente, l’inflazione aumenta in misura maggiore. Quindi ci sembra di avere più soldi in tasca, ma riusciamo a comprare meno cose.
Ma anche quando otteniamo aumenti adeguati, la beffa è dietro l’angolo: ci troviamo a subire un aumento nascosto delle imposte a causa del meccanismo del fiscal drag. Per spiegare di cosa si tratta, è necessario fare un esempio pratico. Immaginiamo un lavoratore che nel 2021 aveva un reddito imponibile di € 35.000. Com’è noto, i redditi vengono tassati con aliquote progressive. Quindi:
- nessuna tassazione sui primi € 8.500
- il 23% sullo scaglione tra € 8.500 e € 28.000
- il 35% sullo scaglione tra € 28.000 e € 50.000
(Nel nostro esempio non prenderemo in considerazione l’ultimo scaglione, quello superiore ai 50.000 euro, tassato al 43%).
Il nostro lavoratore immaginario pagherà quindi:
- il 23% su (28.000-8.500) = € 4.485
- il 35% su (35.000-28.000) = € 2.450
per un totale di € 6.935. L’aliquota media applicata al suo reddito sarà quindi pari al 19,81%.
Immaginiamo che il nostro ipotetico lavoratore rientri tra i fortunati che riescono ad avere un rinnovo contrattuale con aumento di stipendio tale da fargli recuperare del tutto l’inflazione. Quindi, sommando le variazioni dei prezzi al consumo nel quadriennio in esame, avrebbe un aumento dell’17,6%: questo porterebbe il suo reddito imponibile a € 41.160. Di fatto, pur avendo più soldi in tasca, dovrebbe avere il medesimo potere d’acquisto, considerando che l’aumento di stipendio sarà esattamente pari all’aumento dei prezzi. Eppure… avrà ancora la sensazione di aver perso qualcosa. Sensazione legittima: pur non avendo aumentato la sua capacità di spesa, per il fisco sarà più ricco. Proviamo a ricalcolare le tasse sul nuovo importo:
- il 23% su (28.000-8.500) = € 4.485
- il 35% su (41.160-28.000) = € 4.606
per un totale di € 9.091. Non solo l’importo complessivo delle imposte è aumentato, e questo potrebbe essere comprensibile a seguito dell’aumento nominale. Ma – ed è qui che scatta l’aumento nascosto – la sua aliquota media è salita al 22,09%. Se prima dell’aumento il livello della sua tassazione era del 19,81%, l’aver subito una tassazione media del 22,09% lo ha portato a pagare circa 937 euro in più, a fronte di un potere d’acquisto invariato.
Il meccanismo può apparire complesso, e difficilmente viene compreso appieno dai contribuenti: che tuttavia si accorgono, ancora una volta, che fanno fatica a riempire il carrello della spesa, e non capiscono il motivo: ma non avevano avuto il pieno recupero dell’inflazione? Tra l’altro la situazione ipotizzata è quella ottimale, che nella realtà dei rinnovi contrattuali non si verifica quasi mai. Nella grande maggioranza dei casi l’importo del rinnovo è inferiore all’inflazione, generando un effetto perverso: chi lavora ha al tempo stesso una riduzione del potere d’acquisto, ed un aumento della tassazione media.
Il meccanismo sarà anche complesso, ma è ben chiaro a chi governa, che si guarda bene dall’applicare correttivi. Che sarebbero piuttosto semplici: basterebbe alzare le soglie degli scaglioni, adeguandole all’inflazione. Ma questo farebbe venir meno un incremento delle entrate che ha, fra i suoi meriti, quello di non venire immediatamente percepito, e quindi di non generare dissenso nei confronti di chi governa.
Che nel frattempo annuncia un taglio delle tasse, decisamente beffardo. Lo scaglione tra €28.000 e € 50.000 resta invariato, ma l’aliquota applicata scende al 33% (dall’attuale 35%).
Riprendendo il nostro esempio, per il lavoratore che ha appena ottenuto l’aumento il taglio delle tasse ammonterebbe a:
- – 2% su (41.160-28.000) = € 263 circa.
In sintesi: mentre gli sventola davanti uno sconto di € 263 il fisco gli sottrae, senza dirglielo, € 674 (cioè la differenza tra € 937 dovuti all’aumento dell’aliquota media e € 263 restituiti). Senza contare che la riduzione dell’aliquota scatta solo per redditi superiori ad € 28.000. Cioè la minoranza dei contribuenti italiani, considerando che il valore medio delle dichiarazioni dei redditi presentate nel 2024 non raggiunge i 25.000 euro. Questo vuol dire che per circa 7 contribuenti su 10 non ci sarà nessuna riduzione, ma subiranno comunque gli effetti perversi del fiscal drag.
Un vero capolavoro: lasciar aumentare le tasse mentre ci si vanta di averle tagliate. George Orwell e il suo immaginario Grande Fratello erano dei dilettanti al confronto.
Articolo pubblicato su Periscopionline.it