Angolo Rosso: la guerra della finanza, quando il denaro decide tra pace e conflitto

Alessandro Volpi e Anna Maria Romano raccontano due prospettive convergenti: il dominio dei fondi globali e la necessità di costruire una finanza di pace

Alessandro Volpi: “La finanza ha militarizzato il risparmio collettivo”

Viviamo in un’epoca in cui la finanza è diventata il vero potere geopolitico.

Una manciata di grandi fondi americani – BlackRock, Vanguard, State Street – controlla una quota enorme del risparmio mondiale. Significa che una parte decisiva delle scelte economiche globali dipende da questi soggetti, capaci di decidere dove far scorrere i capitali, influenzando così i mercati, i governi e le politiche industriali.

Negli ultimi anni, il capitalismo finanziario statunitense ha attraversato una crisi profonda, segnata dal debito pubblico e dall’instabilità politica.

L’arrivo di Trump ha incrinato gli equilibri interni e spinto i grandi fondi a cercare nuovi territori di profitto. Questi territori li hanno trovati in Europa, dove la politica del riarmo ha offerto una straordinaria occasione di guadagno.

Con i programmi di spesa militare varati dalla Commissione von der Leyen, il settore della difesa è diventato un approdo sicuro per gli investimenti. È qui che vedo il rischio maggiore: una militarizzazione del risparmio collettivo.

I fondi pensione, le assicurazioni, i risparmi privati vengono convogliati verso titoli legati al riarmo, spesso senza che i cittadini ne siano consapevoli. Quando parlo di bellicismo finanziario, mi riferisco proprio a questo: al fatto che ognuno di noi, attraverso un semplice piano di risparmio, possa finire a finanziare indirettamente la produzione di armi.

È un processo che riguarda da vicino anche l’Italia.

Le nostre principali banche – da Unicredit a Intesa Sanpaolo – hanno tra i propri azionisti gli stessi fondi speculativi globali.

Questo significa che anche il risparmio degli italiani viene gestito secondo logiche speculative, lontane dall’economia reale e dai bisogni delle persone.

In La guerra della finanza ho provato a raccontare proprio questo paradosso: come un sistema nato per garantire stabilità e crescita si sia trasformato in un meccanismo che alimenta disuguaglianze e conflitti.

Non è più solo un tema economico, ma un tema democratico e civile.

Anna Maria Romano: “Ogni euro è una scelta di valore”

Quando diciamo che la finanza non è neutrale, intendiamo che ogni euro speso, investito o risparmiato è una scelta di valore.

Io credo che il nostro compito, come sindacato globale, sia quello di trasformare la consapevolezza in azione, facendo della finanza uno strumento al servizio della pace e dei diritti, non della guerra e del profitto.

Come presidente di Unifinance e componente della CGIL Toscana, mi batto da tempo per costruire una finanza etica e responsabile, che non sostenga le imprese e i governi che traggono vantaggio dai conflitti.

Per questo, insieme a Oxfam e a oltre ottanta organizzazioni nel mondo, abbiamo lanciato una campagna di disinvestimento dai territori occupati illegalmente da Israele.

Con questa iniziativa chiediamo a banche, fondi e multinazionali di togliere il proprio sostegno economico all’occupazione e al sistema che la alimenta, e di reindirizzare i capitali verso progetti che migliorano la vita delle persone: scuole, sanità, welfare, diritti.

Abbiamo già contattato grandi gruppi come BNP Paribas, e alcune aziende – come OPODO e MAERSK – hanno iniziato a cambiare rotta, rivedendo le proprie politiche commerciali con i Paesi che violano i diritti umani. Ma non basta la pressione sulle istituzioni. Serve un movimento collettivo e consapevole.

Quando un milione di persone scende in piazza per la pace, come è accaduto a Roma, o centomila a Firenze, significa che la coscienza civile si muove, che ognuna e ognuno ha deciso di non restare spettatore.

Io credo che un’economia di pace non sia un’utopia, ma una necessità.

Possiamo costruirla solo insieme, creando alleanze tra i sindacati di tutto il mondo e tra le persone che non accettano più che i propri risparmi vengano trasformati in strumenti di distruzione.

“Dire basta alle armi non basta,” ripeto spesso. “Dobbiamo smettere di finanziare chi produce armi.”

Il cambiamento passa da noi: dai lavoratori, dalle lavoratrici, dai cittadini che scelgono dove mettere i propri soldi e quali valori sostenere.

Una battaglia comune

Le mie parole e quelle di Alessandro Volpi nascono da due prospettive diverse – quella dell’analisi e quella dell’impegno sindacale – ma conducono alla stessa conclusione: la finanza è un campo di battaglia politico e morale.

Non è un’entità lontana, ma un insieme di scelte quotidiane che decidono se alimentare la guerra o costruire la pace.

Per cambiare il sistema, serve una presa di coscienza collettiva: sapere che il denaro può distruggere o ricostruire, escludere o includere, armare o curare. Sta a noi decidere da che parte stare.

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