Inform@fisac gennaio 2015 n.3

 

Banche, il contratto si riduce

 

Credito. L’allarme dei sindacati: dal 2000 ad oggi 48mila uscite – Previsti altri 20mila tagli entro il 2020.
Meno istituti e 13.500 addetti di back office a rischio esternalizzazione


#sono bancario, e mi piacerebbe fare banca. Non vendere elettrodomestici
#sono bancario. Banchieri due più due fa quattro, i bancari vogliono il contratto
#sono bancario e non banchiere
#sono bancario usurato da continue fusioni

Il mood dei lavoratori del credito si misura anche attraverso le migliaia di tweet partiti dagli sportelli dopo l’hashtag lanciato dai sindacati in vista dello sciopero del 30 gennaio. Così come attraverso le assemblee che per alcun banchieri sono più significative delle adesioni allo sciopero. Da un lato e dall’altro il messaggio è chiaro: i bancari vogliono il contratto e avanzano per difendere conquiste del passato e aumento futuro. In piazza ci saranno Fabi, Fiba, Fisac, Uilca, Dircredito, Ugl Credito, Sinfub, Unisin, ma anche i Segretari Generali di Cgil, Cisl e Uil.  “E’ il segno di una battaglia più generale, non di categoria, per la crescita e il lavoro che sta nel nuovo modello di banca e nel bancario al servizio del paese – dice il Segretario Generale della Fisac, Agostino Megale -. Abi si pone come apripista del fronte imprenditoriale, di chi vuole smantellare i contratti nazionali. Ma un settore senza contratto è come un paese senza costituzione.”

Con il 30 gennaio alle spalle, Abi e i Sindacati dovranno sbloccare una situazione che, vista dal basso, racconta una certa insofferenza rispetto ai cambiamenti di questi anno, come dice chi chiede di fare banca e non vendere elettrodomestici. O chi è stufo delle ripercussioni delle fusioni. Dal 2000 ad oggi, secondo un calcolo della Fabi, sono usciti dal settore 48mila lavoratori. Da luglio 2014 fino a tutto il 2020 altri 20mila volontariamente andranno in prepensionamento o in pensionamento per effetto degli ultimi accordi. Sommando dal 200 al 2020, 68mila lavoratori usciranno dalle banche. Non solo. C’è infatti l’incognita, in futuro, per i 13.500 che lavorano nel back office e che il Sindacato considera a rischio: la spinta delle aziende verso le esternalizzazioni è forte, di qui la forza con cui i Sindacati difendono l’area contrattuale. E il salario. Le diseguaglianze, così le definisce uno studio della Fisac Cgil, fra bancari e banchieri aumentano: se nel 2000 la retribuzione di fatto media di impiegati e quadri era di € 47.459, nel 2014 è diventata di € 46.649, con una perdita di € 810. Il contratto che difende il salario dei bancari dall’inflazione non riesce a difenderlo anche dall’aggressività del fisco. Diversa la situazione dei top manager (sono stati considerati i fissi e i variabili dei primi 5 amministratori delegati dei grandi gruppi) che invece sono passati da 3,1 milioni di euro a 3,7 milioni di euro del 2014, con un incremento di 600mila euro. Secondo lo studio della Fisac mediamente, dal 2000 al 2014, un banchiere ha guadagnato 42mila euro in più all’anno. La forbice si allarga, i sindacati chiedono che i banchieri diano il buon esempio e si riducano lo stipendio. La risposta di alcuni è: non fate del populismo. Quella di altri: guardate alla produttività, siamo agli ultimi posti in Europa.

Lando Maria Silleoni, segretario generale della Fabi, dice che “Una posizione così rigida e chiusa nella storia dei rinnovi dei contratti nazionali non c’è mai stata. E’ vero che c’è la crisi e le banche non guadagnano più come un tempo, ma è evidente l’intenzione di sfruttare la confusione politica del momento per riportare le lancette indietro di almeno 30 anni sui diritti dei lavoratori. Non vogliono pagare l’inflazione e, soprattutto nel caso di Unicredit, vogliono alleggerire il contratto nazionale per sostituirlo con il contratto aziendale, dove però si creerebbero le condizioni per un trattamento diverso tra un lavoratore e l’altro”. Il dibattito sul contratto, che nelle ultime settimane di negoziato era stato ridotto alla questione del blocco degli scatti, per il Segretario Generale della Fiba, Giulio Romani, ha spostato l’attenzione dalla vera questione. “La partita è un’altra – sostiene Romani -. Gli scatti valgono lo 0,60%, il costo del lavoro è pari a 25 miliardi di euro: quindi stiamo parlando di 150 milioni di euro all’anno a livello di sistema, quando abbiamo fatto piani industriali che hanno consentito risparmi maggiori. E’ chiaro che non può essere in 150 milioni il centro dello scontro.”

 

Articolo pubblicato su “Il Sole 24 Ore” del 23/01/2015

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