Landini: “Il lavoro è la priorità, Draghi ci porti fuori dalla precarietà”

da Repubblica – ROMA – «Con Draghi possiamo far uscire l’Italia dalla precarietà del lavoro». È più di un endorsement quello di Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, nei confronti del presidente del Consiglio incaricato, Mario Draghi. Aggiunge: «Sarebbe un suicidio politico del nostro Paese non saper cogliere e non saper utilizzare la sua competenza e la sua autorevolezza per ridisegnare il futuro del nostro Paese facendo quelle riforme che rinviamo da anni».
Davvero pensa che un uomo come Draghi, ex banchiere della Bce ma anche della banca d’affari Goldman Sachs, possa avere la ricetta per chiudere la lunga stagione del lavoro precario in Italia?
«Secondo lei a cosa serviranno i quasi 300 miliardi in arrivo dall’Europa? A creare nuovi posti di lavoro: lavoro di qualità per i giovani, le donne, per il Mezzogiorno. Questo è il vero obiettivo e non a caso, proprio il professor Draghi ha parlato di ricostruzione dell’unità del Paese. Io aggiungo: dell’unità sociale del Paese. Dobbiamo fare in modo che chi lavora per vivere possa farlo con dignità e non nella povertà. Deve essere la priorità».
Lei è persona di sinistra, non teme la presenza della Lega di Salvini nella maggioranza parlamentare che si appresta a sostenere l’esecutivo Draghi? Non c’è il rischio che così scoloriscano i valori, pensi solo alla questione dei migranti, delle forze di centrosinistra?
«Salvini mi ha fatto venire in mente Enrico IV che va da Matilde di Canossa… In ogni caso credo che il discorso debba essere diverso. Il Presidente della Repubblica ha incaricato Draghi per dare vita a un governo di alto profilo “che non debba identificarsi con alcuna formula politica”, alternativo alle elezioni per affrontare le emergenze e il futuro del Paese. Dunque la questione è il programma che il professor Draghi presenterà in una prospettiva di legislatura e in un contesto internazionale in forte cambiamento, anche e non solo, per l’elezione di Biden alla Casa Bianca. Per questo considero di rilievo il richiamo che il presidente incaricato ha fatto al coinvolgimento oltre che delle forze politiche anche degli attori sociali. È tutto il Paese che deve assumersi le proprie responsabilità. È una situazione inedita e straordinaria che ridisegna anche il quadro politico finora conosciuto».
Diceva delle riforme da fare: quali?
«Dal fisco agli ammortizzatori sociali e alle politiche attive per il lavoro; dalla pubblica amministrazione agli interventi di politica industriale con un ruolo del pubblico nel processo di riconversione ecologica; dal sistema formativo al rafforzamento della sanità pubblica fino a una legislazione per riconoscere l’efficacia erga omnes dei contratti nazionali e la partecipazione dei lavoratori».
Perché sottolinea il fatto che le riforme italiane vanno collocate dentro un quadro di nuovi rapporti internazionali?
«Perché chi finora ha raccontato che ciascuno si salva da solo non ha capito che il mondo sta cambiando profondamente e che bisogna stare dentro queste dinamiche, altrimenti si va a sbattere. Anche per questo Draghi è importante, per il riconoscimento unanime della sua autorevolezza e competenza»
Considera Draghi un uomo politicamente di sinistra?
«Considero Draghi un uomo capace di capire che il mercato da solo non risolve i problemi e che è arrivato il momento di un indirizzo pubblico nell’economia. Non perché il governo debba sostituirsi alle imprese, ma per definire un altro modello sociale e di sviluppo. È davvero necessario alzare lo sguardo. Quello che accade negli Usa o in Cina riguarda banalmente anche noi e il futuro dell’Italia è legato all’Europa che sapremo costruire».
Nell’immediato, però, sta scadendo, il 31 marzo, il blocco dei licenziamenti. Chiederete a Draghi una nuova proroga?
«Sicuramente sì. Non una proroga sine die, ma fino a quando non saremo fuori dall’emergenza e non avremo contestualmente approvato una riforma degli ammortizzatori sociali universali, compreso il rafforzamento dei contratti di solidarietà».
Non è un buon viatico per dialogare con la Confindustria di Carlo Bonomi, che chiede di sbloccare i licenziamenti per consentire la ristrutturazione delle imprese. C’è chi pensa che con Draghi possa ripartire la concertazione sul modello Ciampi del ‘93. Lei cosa pensa?
«Guardi, io penso che sia possibile che governo, sindacati e imprese, si confrontino sul merito prima che vengano prese le decisioni. E se possibile fare anche accordi».
Un patto tra governo e forze sociali? Come lo chiamerebbe?
«Non necessariamente un unico patto, anche più accordi. Ma se cerca una definizione: un grande accordo per il lavoro e la rinascita del Paese».
Anche sulle pensioni? A fine anno scade Quota 100, si torna alla legge Fornero?
«Da tempo chiediamo una vera riforma del sistema pensionistico. Quota 100 non ha cambiato le cose sbagliate della riforma precedente. Non possiamo pensare che i giovani lascino il lavoro a 70 anni, che le donne non si vedano riconoscere la differenza di genere e che l’aspettativa di vita, la quale regola l’età pensionabile, sia uguale per tutti indipendentemente dal lavoro. Serve flessibilità: ciascun lavoratore deve poter decidere quando andare in pensione dopo aver compiuto 62 anni o dopo 41 anni di contribuzione».

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