Dipartimento Giuridico: le nuove misure di inclusione sociale e lavorativa (l.n.85/2023)

Approfondimento a cura di
Carmen La Macchia

Le nuove misure di inclusione sociale e lavorativa (l.n.85/2023)

Sei disoccupato e povero? Peggio per te.

 

 1 – Premessa

 Sarebbe stato utile per il Governo Meloni rileggere il rapporto Beveridge del 1942, prima di varare il provvedimento, in commento, sul tema dell’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro. Quel rapporto era fondato sull’esame dell’esperienza storica, sulla analisi statistica, sui principi e i valori che ispirano l’ordinamento di uno Stato.

La relazione di accompagnamento del decreto legge n.48/2023, convertito il 3 luglio 2023 nella l.n.85/2023 (G.U. n.153 del 03/07/2023), si limita alla parafrasi degli articoli del testo proposto. Nemmeno un riferimento alle analisi, agli approfondimenti, ai principi che hanno condotto il legislatore alla definizione degli strumenti adottati. Per vero, nemmeno il Governo Conte I impiegò più estesi approfondimenti, quando istituì, nel 2019, il Reddito di cittadinanza.

La nostra Costituzione non si ispira ad una visione universalistica della sicurezza sociale.

L’art.38 Cost distingue nettamente i cittadini inabili, dai cittadini lavoratori. Ai primi, sprovvisti “dei mezzi necessari per vivere”, deve essere garantito il “mantenimento” e “l’assistenza sociale” . Ai secondi, in conseguenza di eventi, quali “infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia , disoccupazione involontaria”, devono essere “preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita”.

In sostanza, nello struttura dell’art.38 Cost. una tutela è assicurata a coloro che hanno perso il lavoro, non a coloro che non trovano lavoro cioè agli inoccupati. E’ il diritto al lavoro di cui all’art.4 Cost. che impone, una richiesta ineludibile di solidarietà, alla Repubblica, di adempiere alla prescrizione di riconoscere “ a tutti i cittadini il diritto al lavoro” e di promuovere “le condizioni che rendano effettivo” tale diritto.

Una politica virtuosa, volta all’effettività del diritto al lavoro, dovrebbe, in primo luogo, dunque, creare un sistema efficiente tra percorso formativo e accesso al lavoro. I cittadini italiani, invece, attendono, da tempo infinito, che una politica attiva dell’occupazione venga seriamente praticata e non solo predicata. Questo consolidato costume politico, non sembra destinato a migliorare con il provvedimento in commento.

Il d.l. n.48/2023, convertito nella l.n.85/2023, dal titolo, Misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro, dedica i primi 13 articoli alle “Nuove misure di inclusione sociale e lavorativa”. Tali misure sostituiscono il reddito e la pensione di cittadinanza, introdotto dal d.l.n.4/2019, che era già stato posto in dismissione dalla l.n.197/2022.

Il nuovo decreto distingue i cittadini in situazioni di disagio economico e sociale in due gruppi. Ai soggetti che non sono in condizioni di lavorare, destina l’Assegno di inclusione (AdI); per coloro che sono in condizioni di lavorare, i cosiddetti occupabili, è prevista una misura di sostegno all’accesso al lavoro, denominata Supporto per la formazione e lavoro (SFL).

 

Assegno di inclusione

L’assegno di inclusione (AdI) che entrerà in vigore dal 1° gennaio 2024, seguendo la direttiva politica di distinguere tra occupabili e inoccupabili, prevede che il richiedente l’assegno appartenga ad un nucleo familiare, al cui interno siano presenti almeno un disabile o un minorenne o un over 60, o anche componenti in condizione di svantaggio e inseriti in programmi di cura e assistenza dei servizi socio-sanitari territoriali, certificati dalla pubblica amministrazione.

Si ricorda che il nucleo familiare (DPCM n.159/2013) del richiedente, è costituito dai soggetti componenti la famiglia anagrafica, uniti da vincoli affettivi e di coabitazione, alla data di presentazione  della dichiarazione sostitutiva unica (DSU).

La nuova misura richiama, per molti aspetti ,la disciplina dettata per il Reddito di cittadinanza.

Per accedere all’assegno, il nucleo familiare deve presentare rigorosi requisiti in materia di cittadinanza, di residenza e di soggiorno; di condizioni economiche e personali; di indicatori del tenore di vita; di carichi penali previsti dalla legge.

In osservanza delle indicazioni europee, i cittadini stranieri al momento della presentazione della domanda devono dimostrare di risiedere in Italia da almeno cinque anni (il RdC richiedeva 10 anni), di cui gli ultimi due anni in modo continuativo (art.2,c.2).

I requisiti di Isee e di reddito sono rimasti quelli già fissati dalla reddito di cittadinanza: un valore 9,360 Isee e un valore di reddito familiare inferiore a 6000 euro. La soglia di reddito si innalza a 7,560 annui se il nucleo familiare è composto da persone di età pari o superiore a 67 anni, oppure da persone di età pari o superiore a 67 anni e da altri familiari in condizione di disabilità grave o di non autosufficienza. Tali soglie sono aumentate in ragione della cosiddetta “scala di equivalenza”, la quale ha lo scopo di calcolare l’assegno effettivo, sulla base di alcuni valori attribuiti ai componenti del nucleo familiare (età pari o superiore ai 60 anni, carichi di cura, disagi bio-psico-sociale).

L’Assegno di inclusione comprende, due tipi di integrazioni con un minimo erogabile pari a 480 euro annui. La prima integra il reddito familiare come sopra individuato (6000 o 7560 euro). Al reddito familiare si sommano i parametri fissati nella scala di equivalenza, individuati sulla base delle caratteristiche dei componenti del nucleo familiare: 0,40 per un componente maggiorenne con carichi di cura; 0,40 per ciascun altro componente ultrasessantenne; 0,50 per un componente con disabilità;

0.30 per ciascun altro componente adulto in condizioni di grave disagio bio-psico-sociale e inserito in programmi di cura e di assistenza certificati dalla pubblica amministrazione; 0,15 per ciascun minore di età fino a due anni; 0,10 per ogni ulteriore minore di età oltre il secondo; fino a un massimo complessivo di 2,2 ulteriormente elevato a 2,3 in presenza di componenti in condizioni di disabilità grave o non autosufficienza. La Presidente del Consiglio costantemente ripete di aver messo “i figli e la famiglia al centro” dell’azione politica del Governo, e, tuttavia, il decreto penalizza le famiglie numerose.

E’ utile un esempio. Per un nucleo familiare con reddito inferiore ai 6000 euro ,composto da un adulto di età inferiore ai 60 anni con carichi di cura e il genitore disabile, l’assegno ammonta a: 6000 x 1 (valore base) +0,40 (adulto ) + 0,50 (disabile) =1,90. 6000x 1,90 =11.400 euro.

La seconda integrazione è attribuita alle abitazioni, concesse in locazione con contratto registrato, per un importo pari all’ammontare del canone annuo previsto nel contratto in locazione, come dichiarato a fini ISEE, fino ad un massimo di 3.360 euro annui, ovvero di 1.800 euro annui se il nucleo familiare è composto da persone tutte di età pari o superiore a 67 anni; ovvero da persone di età pari o superiore a 67 anni e da altri familiari tutti in condizioni di disabilità grave o di non autosufficienza. È stata eliminata l’integrazione per il mutuo prevista, invece, nel Reddito di cittadinanza.

Ulteriori requisiti sono relativi al valore del patrimonio immobiliare e del patrimonio mobiliare. Il primo non deve superare i 30.000 euro. Tale soglia non ricomprende la casa di abitazione, di valore, ai fini IMU, non superiore a 150.000 euro. Il secondo, come definito ai fini ISEE, non deve essere superiore a una soglia di 6.000 euro, accresciuta di 2.000 euro per ogni componente il nucleo familiare successivo al primo, fino a un massimo di 10.000 euro, incrementato di ulteriori 1.000 euro per ogni minorenne successivo al secondo; i predetti massimali sono ulteriormente incrementati di 5.000 euro per ogni componente in condizione di disabilità e di 7.500 euro per ogni componente in condizione di disabilità grave o di non autosufficienza, come definite a fini ISEE, presente nel nucleo familiare. I valori sono determinati sulla base della disciplina dell’IMU.

Inoltre, con riferimento al godimento di beni durevoli e ad altri indicatori del tenore di vita, il nucleo familiare deve trovarsi congiuntamente nelle seguenti condizioni:

  • nessun componente il nucleo familiare deve essere intestatario a qualunque titolo, o avere piena disponibilità, di autoveicoli di cilindrata superiore a 1600 o motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc., immatricolati la prima volta nei 36 mesi antecedenti la richiesta, esclusi gli autoveicoli e i motoveicoli per cui è prevista una agevolazione fiscale in favore delle persone con disabilità, accertata con le modalità previste dalla disciplina vigente;
  • nessun componente deve essere intestatario a qualunque titolo o avere piena disponibilità di navi e imbarcazioni da diporto, nonché di aeromobili di ogni genere;

Come previsto per il reddito di cittadinanza, anche per ricevere l’Assegno di inclusione, il beneficiario non deve essere oggetto di misura cautelare personale, misura di prevenzione, non deve aver subito sentenze definitive di condanna o adottate con i procedimenti speciali di applicazione della pena su richiesta delle parti (cd patteggiamento), intervenute nei 10 anni precedenti la richiesta.

Tutti i requisiti sopra indicati devono essere posseduti, congiuntamente, al momento della presentazione della richiesta e per tutta la durata di fruizione del beneficio.

L’AdI è erogato mensilmente ,per un periodo continuativo, non superiore a 18 mesi e può essere rinnovato, previa sospensione di un mese, per periodi ulteriori di 12 mesi. Allo scadere dei periodi di rinnovo di 12 mesi è sempre prevista la sospensione di un mese. Tale sospensione è inspiegabile perché non è connessa ad un mutamento della situazione economica. Si tratta di un mero strumento afflittivo. Anche il reddito di cittadinanza prevedeva che il sussidio fosse goduto per un periodo non superiore a 18 mesi, con la sospensione di un mese tra la successione dei rinnovi. La pensione di cittadinanza istituita dal Governo Conte I è, invece, esclusa dalla sospensione di un mese che riguarda solo il reddito di cittadinanza.

Non ha diritto all’Assegno di inclusione il componente del nucleo familiare che risulti disoccupato a seguito di dimissioni volontarie, nei 12 mesi successivi alla data delle dimissioni, fatte salve le dimissioni per giusta causa; nonché a seguito di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro intervenuta nell’ambito della procedura di conciliazione di cui all’articolo 7 della legge n. 604 del 1966 (relativa al licenziamento per giustificato motivo oggettivo), prevista per lavoratori, assunti prima del 7 marzo 2015, dipendenti di imprese con un organico superiore a 15 unità.

 2 – Supporto per la formazione e il lavoro

La seconda misura di inclusione, attiva dal primo settembre 2023, è dedicata ai cosiddetti occupabili, individuati nei componenti dei nuclei familiari, di età compresa tra 18 e 59 anni, con un valore dell’ISEE familiare, in corso di validità, non superiore a 6.000 euro annui, privi dei requisiti per accedere all’assegno di inclusione.

Il sussidio di importo mensile, pari a 350 euro, qualificato come “indennità”, è condizionato alla partecipazione del beneficiario ad attività e programmi formativi e a progetti utili alla collettività, per tutta la loro durata e comunque per un periodo massimo di 12 mensilità. Nel Reddito di cittadinanza, invece, l’erogazione del beneficio, assimilabile nell’ammontare all’attuale Assegno di Inclusione, è condizionata solo alla dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro da parte dei componenti il nucleo familiare maggiorenni e può essere rinnovata, se sussistono i requisiti.

I requisiti per accedere alla misura sono i medesimi previsti per l’Assegno di inclusione

Successivamente all’iscrizione alla piattaforma digitale denominata SIILS (sistema informativo per l’inclusione sociale e lavorativa), prevista anche per i richiedenti l’assegno di inclusione, gli interessati sono tenuti a sottoscrivere con il servizio per l’impiego, entro 60 giorni, un Patto di servizio personalizzato, previa presentazione della documentazione utile ha dimostrare di essersi rivolto ad almeno tre agenzie per il lavoro o enti autorizzati all’attività di intermediazione.

Coloro che aderiscono alle misure di formazione e di attivazione lavorativa, indicate nel patto di servizio personalizzato, devono certificare, almeno ogni 90 giorni, ai servizi competenti, anche in via telematica, di partecipare a tali attività. In mancanza di conferma, il sussidio è sospeso.

Nelle misure di Supporto per la formazione e il lavoro rientra anche il servizio civile universale di cui al decreto legislativo n. 40 del 2017, per lo svolgimento del quale, gli enti preposti possono riservare quote supplementari, in deroga ai requisiti di partecipazione di cui all’articolo 14, comma 1 (età compresa fra 18 e 28 anni e soggiorno regolare in Italia), e alla previsione di cui all’articolo 16, comma 8 (divieto di svolgere più di una volta il servizio civile universale), del citato decreto legislativo n. 40 del 2017. Nelle misure di Supporto rientrano anche i progetti utili alla collettività.

A seguito della stipulazione del patto di servizio, attraverso la piattaforma SIILS, l’interessato può ricevere offerte di lavoro, servizi di orientamento e accompagnamento al lavoro, ovvero essere inserito in specifici progetti di formazione erogati da soggetti, pubblici o privati, accreditati alla formazione dai sistemi regionali, da fondi paritetici interprofessionali e da enti bilaterali. L’interessato può autonomamente individuare progetti di formazione, rientranti nel novero di quelli indicati al primo periodo, ai quali essere ammesso e, in tal caso, deve darne immediata comunicazione sulla piattaforma SIILS.

Il legislatore supporta l’inserimento al lavoro dei percettori di AdI e di SFL, garantendo un sistema di significativi incentivi, riconosciuti a favore dei datori di lavoro privati in caso di assunzione di beneficiari dell’AdI e del SFL, modulati in base al contratto di lavoro sottoscritto (esonero del 100% dei contributi previdenziali per 12 mesi per i contratti di lavoro a tempo indeterminato, pieno o parziale e al contratto di apprendistato e del 50%, per 12 mesi, per i contratti a tempo determinato o stagionale, pieno o parziale).

Al pari dei percettori dell’Assegno di inclusione, coloro che beneficiano del Supporto per la formazione e lavoro sono tenuti ad accettare, pena la sospensione del sussidio, un’offerta di lavoro, relativa ad un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, senza limiti di distanza nell’ambito del territorio nazionale, sia a tempo pieno, sia a tempo parziale non inferiore al 60% dell’orario a tempo pieno; oppure sono tenuti ad accettare un contratto di lavoro a tempo determinato, anche in somministrazione, qualora il luogo di lavoro non disti più di 80 km dal domicilio del soggetto.

I percettori del Reddito di cittadinanza, invece, devono accettare, per continuare a ricevere il sussidio, una offerta di lavoro, presso una sede entro 100 km di distanza dalla residenza beneficiario, se si tratta della prima offerta. Le offerte successive dovevano essere accettate ovunque siano collocate nel territorio italiano.

Conclusioni

Nella storia più recente, le misure assistenziali di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale, messe in campo dai Governi, tra le quali, il Reddito minimo di inserimento (d.lgs n.237/1998 ), il Reddito di ultima istanza (l.n.250 del2003),   la Carta acquisti (art.81.32°comma l.n.133/2008), i Buoni acquisti (art.1 130°comma l.n.190/2014; la Carta famiglia (art.1 386°-392° comma l.n.208/2015), il Reddito di inclusione (d.lgs n.147/2017), ed anche l’Assegno di inclusione reiterano, quasi senza soluzione di continuità, misure che condizionano l’erogazione del sussidio all’accertamento dello stato di bisogno.

Il Reddito di cittadinanza (d.l. n.4/2019) ed anche i nuovi strumenti di cui al decreto in esame, sono caratterizzati dalla volontà di trattare insieme, categorie di cittadini che nella Costituzione sono nettamente distinte. Anche sociologicamente, basta fare riferimento al fenomeno, dei Neet, i giovani che non studiano e non cercano lavoro, particolarmente grave in Italia, per comprendere che la condizione di  bisogno e la disoccupazione esigono politiche diverse.

La confusione tra assistenza sociale e politiche di inclusione lavorativa confina il diritto al lavoro, di cui all’art. 4 Cost, nell’area dei diritti negati.

La sommaria esposizione delle misure di inclusione previste nella legge in commento, rende, difatti, evidente come il Governo abbia del tutto dimenticato il contenuto di cui all’art.4 Cost. che, come si è ricordato, attribuisce alla Repubblica il compito di promuovere le condizioni che rendano effettivo il diritto al lavoro. Non solo, ha dimenticato che l’art.4 Cost trae forza e nuovi imperativi dagli artt. 2 e 3 della Costituzione e dai principi espressi nel diritto europeo ed, in particolare, nella Carta di Nizza del 18/12/2000 (C364/8), la quale, all’art.15 consacra il diritto di ogni individuo “di lavorare e di esercitare una professione liberamente scelta o accettata”.

Come può essere compatibile con tali principi una legislazione che, esaurisce il suo compito costituzionale, di promuovere l’effettività del diritto al lavoro, nell’attribuire un sostegno economic,o a cittadini disoccupati ed in condizioni di disagio economico, solo per 12 mesi? E dopo? Cosa dovrebbe fare questo cittadino, attendere di diventare disabile o di raggiungere presto i 67 anni per ricevere l’Assegno sociale?

Eppure non mancano le risorse finanziarie, volte al contrasto della disoccupazione di lunga durata e a facilitare l’inserimento professionale dei giovani e all’integrazione delle persone a rischio di esclusione dal mercato di lavoro, previste dai Fondi strutturali europei, dalla Banca europea per gli investimenti (BEI) e da una serie nutrita di Fondi in ambito nazionale.

La letteratura giuridica ha incluso la prescrizione contenuta nell’art.4 Cost tra le norme programmatiche. Si tratta, in sostanza, di quelle norme che prescrivono al legislatore di perseguire, mediante la legislazione ordinaria, un determinato scopo. La Costituzione, dunque, attribuisce ai cittadini una pretesa ad una azione dei pubblici poteri, che sia espressione del programma previsto dalla norma costituzionale e che, pertanto, realizzi condizioni di effettivo impiego. In altre parole, l’esame circa la coerenza della legislazione ordinaria allo scopo voluto dalla Costituzione, può essere oggetto di valutazione in sede giudiziaria.

Considerando il quadro costituzionale, sommariamente richiamato, il decreto presenta ,già ad un primo esame, due criticità. In primo luogo  la misura del sussidio attribuito agli occupabili a titolo di contributo all’inserimento al lavoro è assolutamente insufficiente. Il rigido periodo di durata del sussidio stride fortemente, peraltro, con le indicazioni contenute dell’art.4 della Cost.

Occorre sottolineare che, come dichiarato dall’ANPAL nella sua relazione del 31 dicembre 2022, l’organizzazione dei servizi sociali e dei servizi dell’impiego, ha dimostrato notevoli carenze nella gestione di politiche attive del lavoro, a causa della carenza di personale e della mancanza di un sistema unitario e nazionale di gestione delle risorse e degli obiettivi, in quanto le competenze sono differentemente attivate dalle Regioni per il tramite dei Centri per l’Impiego (CpI). Nella citata relazione l’ANPAL indica che il 74,3% dei beneficiari non occupati, in carico ai servizi per il lavoro non ha mai avuto un contratto di lavoro dipendente o parasubordinato nei 36 mesi precedenti (circa 500 mila individui). E’ evidente, quindi, il fallimento delle misure adottate dal legislatore nel raggiungimento delle condizioni che rendano effettivo il diritto al lavoro. Tale fallimento impone doveri di solidarietà a norma degli artt. 2 e 3 della Costituzione, giacché altrimenti le conseguenze, paradossalmente, del fallimento delle politiche di Governo, ricadrebbero sulle vittime di quelle politiche.

In sostanza, l’esperienza del Reddito di cittadinanza, ha mostrato che la Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali (L.n.328/2000) non funziona.

Forse potrebbe prospettarsi per coloro a cui, dopo dodici mesi di erogazione del beneficio, sia negato il rinnovo del sussidio, pur versando nelle medesime condizioni economiche, una azione collettiva per violazione dell’art.4 Cost, a causa della inefficiente e carente predisposizione di misure idonee a realizzare le condizioni per la effettiva collocazione al lavoro.

DIPARTIMENTO GIURIDICO FISAC-CGIL

 

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