Landini “Ai referendum votino anche i delusi così si cambia il Paese”

da La Repubblica di Valentina Conte

Gli ultimi giorni di campagna referendaria il leader della Cgil Maurizio Landini li passa in viaggio tra una piazza e l’altra.

«Non si vota per un leader. Ma per cambiare il Paese. Il quorum è possibile», dice.

Segretario, comunque vada l’esito del referendum sarà letto come misura dell’opposizione a Meloni. Non è un rischio?

«Il nostro obiettivo è raggiungere il quorum. Non abbiamo promosso il referendum contro qualcuno, ma per ridare dignità e diritti a chi lavora. Per cancellare leggi sbagliate volute da governi di centrodestra e centrosinistra. E che rendono il lavoro precario, povero, spesso mortale. Vedo crescere partecipazione e volontà di votare.
Anche se un quarto delle persone non sa ancora che si vota».

Sta girando l’Italia da settimane. Qual è il clima?

«Dagli autogrill ai mercati, la gente mi riconosce, mi chiede. A Trento una signora mi ha detto che da anni non vota, ma questa volta sì, perché si vota per qualcosa, non per qualcuno. È questo il punto: far votare chi non vota più. I quesiti parlano di lavoro, precarietà, cittadinanza, morti sul lavoro, appalti. Di vita vera».

Quale nuova fase politica apre questo referendum?

«Un cambiamento culturale. In 25 anni ci hanno detto che meno diritti e più mercato avrebbero migliorato tutto. Ma oggi si è poveri lavorando, la precarietà è diffusa, gli investimenti calano. Se la maggioranza dei cittadini vota per cambiare, è un segnale fortissimo».

Un test anche per la Cgil?

«Certo, anche noi dobbiamo cambiare. Tornare a mettere al centro lavoro e democrazia. Ricostruire solidarietà e senso di appartenenza. Dare un futuro a generazioni che vivono una precarietà senza fine. Il referendum è partecipazione diretta. Le leggi sbagliate le cancelli tu».

I giovani se ne vanno. Si può invertire la rotta?

«Nel 2024 ci sono stati 3,7 milioni di avviamenti al lavoro con contratti a termine. Il 52% a donne, ma solo il 18% viene stabilizzata. Retribuzione media: 11 mila euro lordi l’anno per meno di 155 giorni. Anche un ingegnere con contratto a termine non ottiene né un prestito né un mutuo. Come fanno le persone a costruirsi una vita? Il lavoro deve tornare stabile, sicuro, ben pagato.
Solo così si dà speranza».

Molti invitano a non votare. In passato l’ha fatto anche la sinistra. È legittimo o no?

«È irresponsabile. Il diritto al voto è anche un dovere, come ha ricordato il costituzionalista Ainis. Chi ha incarichi pubblici deve dire come la pensa, non sperare nel fallimento del quorum. Di cosa hanno paura?
Che la gente sia meno precaria, muoiano meno persone, ci siano più diritti di cittadinanza, meno appalti al massimo ribasso e più tutele contro i licenziamenti ingiusti?»

Anche la Cisl è critica.

«Troverei singolare che chi propone oggi la partecipazione nelle imprese favorisse l’astensionismo sui referendum. Chi invita a non votare difende questo modello sociale che arricchisce solo qualcuno. Non dico che tutti debbano votare sì. Maalmeno andare alle urne. La maggioranza di chi non vota è anche quella che sta peggio. Votando, avrà la possibilità di cambiare la propria condizione».

Alle comunali l’affluenza è salita. Un segnale?

«Positivo, ma non basta. Servono anche i delusi. Il referendum è un voto diretto, non su un partito o un leader. Ci trasforma in parlamentari per un giorno. Lo ripeto nei mercati: non votate per me, ma per voi e i vostri figli».

La gente cerca un leader? Lei può diventarlo?

«La gente vuole essere ascoltata. Ha paura del futuro. Dei figli precari che vanno via. L’astensione cresce perché nessuno si occupa più di loro. Una persona mi ha detto: “Dobbiamo votare per lei?”. Gli ho risposto: “No, non votate per la Cgil. Votate per voi”. Le piazze piene da Mestre alla Sicilia sono belle per questo: si discute di come migliorare le vite e il lavoro».

C’è chi dice che è un referendum simbolico.

«Chiedete a chi è statolicenziato ingiustamente se vuole tornare al lavoro o avere due spiccioli. A chi è senza cittadinanza da 20 anni se ha un diritto in più o uno in meno. Se passa il referendum, milioni di persone avranno più tutele. Non è simbolico: è concreto».

Il Jobs Act lo definisce un oltraggio. Perché?

«Perché toglie dignità. Se sei licenziato ingiustamente, ti danno dei soldi ma non torni al lavoro. Il contratto a tutele crescenti ha eliminato la reintegra. È una regressione culturale: il lavoro come merce».

Si tornerebbe però all’articolo 18 nella versione Fornero. Tutele per pochi?

«Il diritto al reintegro riguarda 4 milioni di assunti dopo il 7 marzo 2015 e tutte le future assunzioni. Altri 4 milioni lavorano in aziende sotto i 15 dipendenti. Poi ci sono i contratti a termine e 2,5 milioni senza cittadinanza. Il referendum migliora i diritti di milioni di persone. Così il voto è una rivolta».

Il disagio lavorativo nasce qui?

«Soprattutto dal modello d’impresa: subappalti, massimo ribasso, dumping salariale. Mille morti l’anno. Come dice l’Anac, così cresce la corruzione. Mediobancaricorda che l’80% dei profitti dal 2019 non è stato reinvestito, ma suddiviso tra gli azionisti. I salari calano, i consumi pure. I profitti volano. Va cambiato tutto».

Il 26 giugno vedrete il presidente di Confindustria. Cosa chiederete?

«Non patti, ma accordi. Rinnovo dei contratti, aumenti salariali, rappresentanza e diritto di voto ai lavoratori per superare i contratti pirata. Stop al massimo ribasso negli appalti per più sicurezza. Se le imprese vogliono soldi pubblici, come sono tornate a chiedere, devono investire e alzare i salari. Non solo i profitti».

C’è un nuovo ad di Stellantis, Antonio Filosa. Cosa ne pensa?

«Speriamo meglio che con Tavares. Parlare la stessa lingua può aiutare. Ma il punto sono gli investimenti: sui lavoratori in Cassa, sulla ricerca, sui nuovi modelli. Ci aspettiamo un vero confronto per dare un futuro occupazionale alla mobilità in Italia ed Europa».

E se non raggiunge il quorum, la Cgil cosa fa?

«Come diceva Boskov: “Partita finisce quando arbitro fischia”. E si fischia il 9 giugno. Fino ad allora lavoriamo per portare tutti al voto.
Ci crediamo».

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