
Intervista a Monica Di Sisto – da Collettiva.it
Giornalista e vicepresidente dell’associazione Fairwatch
Una falsa alternativa: armi o lavoro
Siamo in un difficile crinale, ci dicono che dobbiamo tornare a scegliere, come è successo in passato, tra le armi e il lavoro, siamo tra le armi e la guerra fredda.
Abbiamo però tutti gli indicatori, le condizioni per capire che questa è una falsa alternativa, che in realtà ci vuole portare a dividerci al nostro interno: considerarci un po’ cittadini, un po’ lavoratori, un po’ ambientalisti, il tutto in conflitto tra noi, senza mettere in discussione invece le strutture di potere che si stanno riorganizzando.
La globalizzazione al capolinea
Noi abbiamo invece una forte esigenza, in questo momento, di capire che la globalizzazione ha esaurito l’esplorazione dei mercati. Si stanno cercando nuove miniere per imporre la crescita, che è il mantra che ci siamo dati.
I colpi che sta subendo la crescita a livello globale sono da un lato causati dai conflitti crescenti, ma in realtà erano stati anticipati da situazioni molto più complesse.
- Il primo: il lavoratore globale non è un lavoratore ricco come i vecchi lavoratori dei paesi industrializzati, è un lavoratore meno capiente.
- Il secondo: il cambiamento delle condizioni climatiche, che rendono le attività produttive, quelle in campo aperto, ma anche per esempio le attività minerarie, molto più pericolose e incerte.
- Il terzo: la pandemia e, più in generale, l’emergere di tensioni sul piano dell’equilibrio biologico, che anch’esse rappresentano un danno.
Perché il riarmo non crea occupazione
Perché il riarmo non è una scelta proponibile? Perché l’industria bellica non è un’industria labour intensive, non produce tanti posti di lavoro.
Il nostro Paese ha già prodotto tanto interinale, tanta precarietà che segue le commesse, e oltretutto propone una produzione che va poi portata in campo seminando molte distruzioni, nel nostro caso anche sostenendo e supportando fortissime violazioni dei diritti umani, attacchi che stiamo vedendo essere genocidari e massicci.
Libertà personali e rischio di conflitti interni
Se la nostra soluzione è fare la guerra tra noi stessi, nelle nostre diverse versioni di cittadini a pieno diritto, e restringere le nostre libertà personali per impedirci di protestare, questo penso che sia un errore.
L’urgenza di un piano industriale nazionale
Noi dobbiamo imporre al nostro Paese un piano industriale che non si fa da oltre 30 anni. Le ultime proposte di questo governo sembrano abbastanza imbarazzanti.
Dobbiamo toglierci l’idea che si vadano a cercare nuovi mercati in giro per il mondo: ce lo dicono anche gli imprenditori, i mercati sono ormai tutti esplorati, non si può inventare un’ulteriore liberalizzazione, come si sta provando a fare con Brasile e Argentina per sostituire i dazi di Trump o altre difficoltà.
Mercati saturi e illusioni delle liberalizzazioni
Dobbiamo invece rafforzare il mercato interno, lavorare sui salari e investire nei settori a più alto tasso di occupazione: la conservazione dei territori, le bonifiche, la transizione ecologica basata su sistemi industriali – non fiori effimeri – meno energivori e più rispettosi dell’ambiente.
E soprattutto capire cosa vogliamo produrre e a quali condizioni.
Verso una crescita equilibrata e sostenibile
Questa è la condizione fondamentale per una crescita equilibrata. Tutto il resto sono illusioni ottiche e manovre che servono solo a muovere i flussi di bilancio degli investimenti: non credo che i nostri portafogli possano davvero essere influenzati da questi grandi arricchimenti o repentini impoverimenti.