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Intelligenza artificiale tra progresso e pericolo: sfida aperta per le professioni del futuro
“Mi sono accorto che non servivo più a niente. E nemmeno me ne sono accorto subito.”
Arturo (Fabio de Luigi), protagonista del film di Pierfrancesco Diliberto “E noi come str**zi rimanemmo a guardare”
Nel film di “Pif”, il protagonista Arturo perde tutto: il lavoro, la relazione, l’autonomia.
Sostituito da un algoritmo più efficiente, viene espulso da un sistema che non contempla l’errore umano, né la lentezza, né l’imperfezione. Una distopia non troppo lontana, che mette a nudo le contraddizioni di un mondo automatizzato in cui la tecnologia, da strumento, rischia di diventare padrone.
Oggi parliamo tanto di intelligenza artificiale. Ma cosa intendiamo davvero? E quali impatti concreti ha – e avrà – nei luoghi di lavoro, nelle scelte aziendali, nel nostro settore, quello assicurativo?
Efficienza, precisione, previsione: niente male, AI.
L’intelligenza artificiale (la famigerata AI) è una branca dell’informatica che consente a sistemi informatici di apprendere da dati, prendere decisioni autonome e migliorare le proprie prestazioni nel tempo. Gli algoritmi di machine learning, le reti neurali, i sistemi NLP (natural language processing), fino ai recenti modelli generativi (come ChatGPT) rappresentano solo alcune delle tecnologie oggi in uso.
Tra i principali vantaggi dell’AI, troviamo:
– Automazione di processi ripetitivi: dall’elaborazione dei sinistri alla gestione documentale, riducendo tempi e margini di errore.
– Capacità predittiva: utile per analisi dei rischi, valutazioni attuariali, prevenzione delle frodi.
– Personalizzazione dell’offerta: grazie all’analisi dei dati comportamentali, l’AI consente di creare proposte assicurative su misura per il cliente.
– Disponibilità continua: chatbot e assistenti virtuali garantiscono un presidio h24 per rispondere a richieste semplici o informative.
Alienazione, bias, dipendenza: i punti deboli dell’intelligenza artificiale
Ma l’AI non è neutra, né infallibile. I suoi limiti non sono solo tecnici, ma anche etici, sociali e professionali:
Disumanizzazione delle relazioni: nel customer service, ad esempio, il cliente può sentirsi frustrato da un’interazione “robotica”, impersonale.
Bias algoritmico: se l’AI viene addestrata su dati distorti, rischia di amplificare discriminazioni (di genere, etnia, età…).
Perdita di competenze e ruoli: l’automazione rischia di impoverire professionalità che si basano su esperienza, empatia e giudizio umano.
Effetti psicologici sui lavoratori, come già rilevato in alcuni reparti (es. area claims), dove l’inserimento massiccio di AI ha generato senso di inutilità, ansia e perdita di controllo sul proprio lavoro.
E nel settore assicurativo? Il ruolo del consulente cambierà (ma non scomparirà)
Nel mondo assicurativo, l’AI ha già iniziato a trasformare il modo di lavorare. Gli strumenti predittivi, la profilazione dei clienti, i chatbot, le piattaforme automatizzate… tutto questo è ormai realtà. Tuttavia, il consulente non è destinato a scomparire, ma a evolversi.
Il valore del consulente non risiede nella mera fornitura di informazioni – quella può farla una macchina. Il suo valore vero sta nella relazione, nella fiducia costruita con il cliente, nella capacità di interpretare esigenze complesse, anche non esplicitate. L’AI può fornire strumenti, dati, suggerimenti. Ma sarà il professionista a trasformare questi input in soluzioni umane e sostenibili.
Serve però un cambio di rotta anche culturale. Le aziende devono investire nella formazione continua, dotando i lavoratori non solo di competenze tecniche, ma anche di strumenti critici per affrontare i cambiamenti in atto. Serve anche una governance etica dell’AI, che tuteli i lavoratori e non li lasci soli di fronte a una trasformazione così profonda.
Conclusione (o inizio): guardare sì, ma non da str**zi
L’intelligenza artificiale non è il nemico. È uno strumento potente, che può migliorare la vita delle persone e la qualità del lavoro, ma va gestito, non subito.
Come sindacato, come lavoratori, come azienda abbiamo una responsabilità collettiva: non rimanere a guardare, ma partecipare attivamente a definire quale AI vogliamo, al servizio di un lavoro più umano, e non artificiale.
Alice Costantin