Krugman, chiedo scusa al Giappone

By: Shane HayesCC BY 2.0
da repubblica.it – In un editoriale del New York Times, il premio Nobel per l’economia, Paul Krugman, rivaluta alla luce dei fatti le scelte economiche del Sol Levante. E le indica come esempi per Usa ed Europa. Il testo del suo intervento

Per quasi due decenni il caso del Giappone è stato considerato un monito, la dimostrazione lampante di come non si gestisce un’economia avanzata. Questo perché l’isola-nazione è la superpotenza in ascesa che ha finito per inciampare. Sembrava destinata a dominare l’economia mondiale con la sua alta tecnologia, e si è invece impantanata in una stagnazione e una deflazione apparentemente senza fine. Tra le feroci critiche degli economisti occidentali.

Io ero tra questi; così come Ben Bernanke, che in seguito sarebbe diventato presidente della Federal Reserve. Oggi invece mi sorprendo spesso a pensare che dovremmo chiedere scusa.

Non dico che la nostra analisi economica fosse sbagliata. Il documento da me pubblicato nel 1998 sulla ‘trappola della liquidità’ giapponese, o quello con cui Bernanke nel 2000 esortava i legislatori giapponesi ad affrontare i propri problemi con una ‘risolutezza rooseveltiana’ hanno resistito piuttosto bene al passare del tempo. Anzi, adesso che gran parte dell’Occidente è scivolata in una crisi protratta che assomiglia molto a quella attraversata dal Giappone, quegli studi oggi appaiono più rilevanti che mai.

Il problema, tuttavia, è che l’Occidente è caduto di fatto in una crisi che non solo assomiglia a quella attraversata dal Giappone ‘ ma è addirittura peggiore. E ciò non sarebbe dovuto accadere. Negli anni Novanta immaginavamo che se gli Stati Uniti e l’Europa occidentale si fossero trovati a dover affrontare problemi simili a quelli del Giappone, avrebbero reagito con un’efficienza ben superiore rispetto a quella messa in campo dai nipponici. Ma così non è stato, malgrado avessimo avuto occasione di imparare dalla loro esperienza. Al contrario, a partire dal 2008 le politiche occidentali sono state talmente inadeguate, se non addirittura controproducenti, che gli insuccessi del Giappone al confronto sembrano cosa di minor conto. E i lavoratori occidentali hanno conosciuto un livello di sofferenza che il Giappone è riuscito ad evitare.

A quali politiche fallimentari mi riferisco’ Cominciamo dalla spesa pubblica. Tutti sanno che nei primi anni Novanta il Giappone tentò di incoraggiare la propria economia attraverso un aumento degli investimenti pubblici; meno noto è il fatto che dopo il 1996, e malgrado il governo avesse aumentato le tasse, gli investimenti pubblici diminuirono rapidamente, mettendo così a rischio il progresso che avrebbe dovuto portare alla ripresa. Fu un grave errore, che tuttavia impallidisce di fronte alle politiche di austerity decisamente distruttive volute dall’Europa, o al crollo nella spesa per le infrastrutture a cui abbiamo assistito negli Stati Uniti dopo il 2010. La politica fiscale giapponese non fece abbastanza per sostenere la crescita, ma la politica fiscale occidentale l’ha di fatto distrutta.

Prendiamo poi la politica monetaria. La Banca del Giappone, equivalente nipponico della Federal Reserve, è stata molto criticata, prima per aver reagito con troppa lentezza alla discesa nella deflazione, poi per essere stata troppo solerte nell’aumentare i tassi di interesse al primo accenno di ripresa. Per quanto si tratti di critiche fondate, la banca centrale del Giappone non ha mai fatto nulla tanto inopportuno quanto la decisione con cui nel 2011 la Banca centrale europea ha aumentato i tassi, contribuendo a rispedire l’Europa in recessione. Tuttavia, persino quell’errore appare trascurabile se paragonato alla condotta egregiamente avventata della Riksbank, la banca centrale Svedese, che ha aumentato i tassi a dispetto di un’inflazione inferiore agli obiettivi e una disoccupazione relativamente alta; una decisione che sembra aver portato la Svezia a una deflazione conclamata.

Il caso svedese appare di particolare interesse perché la Riksbank ha scelto di ignorare uno dei suoi vice governatori, Lars Svensson, economista monetario di classe mondiale, che dopo aver ampiamente studiato il caso del Giappone aveva messo in guardia i suoi colleghi sul fatto che un prematuro aumento dei tassi avrebbe prodotto esattamente gli effetti che ha prodotto.

Le questioni quindi sono due. Innanzitutto: com’è possibile che tutti abbiano preso un tale abbaglio’ Secondo: perché l’Occidente, con tutti i suoi illustri economisti, ha determinato una situazione addirittura peggiore di quella del Giappone’

Per rispondere alla prima domanda, credo che reagire con efficacia alle condizioni di una depressione richieda l’abbandono della rispettabilità convenzionale. Politiche che in condizioni normali sarebbero prudenti e virtuose, come pareggiare il bilancio o assumere un posizione rigida contro l’inflazione, diventano altrettante ricette per peggiorare la crisi. Ed è molto difficile convincere persone influenti ad adeguarsi. Basti notare come l’establishment di Washington non riesce a rinunciare alla propria ossessione per il deficit.

Quanto al motivo per cui l’Occidente ha reagito addirittura peggio del Giappone, sospetto che sia dovuto alle profonde divisioni esistenti all’interno delle nostre società. In America i conservatori hanno bloccato i tentativi di combattere la disoccupazione spinti dalla loro generale ostilità verso il governo, e in particolare verso un governo che fa di tutto per aiutare ‘quelle persone’. In Europa, la Germania ha insistito sull’ hard money e sull’austerità soprattutto perché i tedeschi sono intensamente avversi a tutto ciò che potrebbe essere considerato un ‘salvataggio’ dell’Europa meridionale.

Tornerò presto a scrivere di ciò che sta accadendo in Giappone e delle nuove lezioni che l’Occidente dovrebbe trarne. Per adesso vi basti sapere che il caso del Giappone era un monito, ma tutti gli altri hanno presto cantonate tali da farlo quasi apparire un modello da imitare.

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