La Giornata mondiale contro la pena di morte ricorda a tutti, dal 2003, data della sua istituzione, l’importanza della battaglia per l’abolizione universale della pena di morte.
Il 26 settembre 2007, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa decise di indire una ”Giornata europea contro la pena di morte”, che da allora si tiene ogni anno il 10 ottobre, lo stesso giorno della Giornata Mondiale. Il Consiglio d’ Europa ha svolto un ruolo determinante nel processo che ha trasformato l’ Europa (ad eccezione della Bielorussia) in uno spazio libero dalla pena di morte sin dal 1997. Due terzi dei Paesi delle Nazioni Unite hanno abolita questa pena, nei codici o nella pratica e, anche se presenti nei codici, sono in pratica abolizioniste l’ America Latina, tranne alcune isole caraibiche e l’Africa subsahariana mentre nell’insieme del Maghreb non sono stati giustiziati prigionieri da oltre vent’anni.
La maggior parte delle condanne e delle esecuzioni sono concentrate in tre zone del mondo: il Medio Oriente, l’Asia e, purtroppo, gli Stati Uniti. Negli ultimi anni vi è stata una recrudescenza delle esecuzioni, soprattutto nei Paesi dove non si verificavano da diversi anni o dove era in vigore una moratoria. Le condanne alla pena capitale sono spesso inflitte per crimini legati alla droga e in alcuni paesi le condanne vengono applicate anche a persone disabili, sia fisicamente che mentalmente.
Le cifre fornite dalle organizzazioni umanitarie si aggirano intorno alle 600-700 esecuzioni all’anno nel mondo, ma altre stime indicano un numero sia ben più alto: fra 3000 e 4000 esecuzioni ogni anno, perché è sempre molto difficile ottenere dei dati, in particolare per Paesi come la Cina e l’Iran.
Vi è sempre il rischio di infliggerla ad innocenti e vi sono paesi che considerano reati passibili di pena di morte azioni che in occidente attengono solo alle scelte private. Non ha effetto deterrente e il suo uso sproporzionato contro poveri ed emarginati è sinonimo di discriminazione e repressione. Neppure la minaccia terroristica giustifica il mantenimento della pena capitale. Lo dimostra l’esempio dell’Iraq dove malgrado una violenta risposta dello Stato, tramite le esecuzioni, il terrorismo si è drammaticamente rafforzato.
La pena di morte è crudele, inumana e degradante.