
Materialmente, la memoria consiste in una piccola targa d'ottone della dimensione di un sampietrino (10 x 10 cm.), posta davanti alla porta della casa in cui abitò il deportato, sulla quale sono incisi il nome della persona deportata, l'anno di nascita, la data e il luogo di deportazione e la data di morte, se conosciuta, per ricordare chi si voleva ridurre soltanto a un numero. Un inciampo non fisico, dunque, ma visivo e mentale, per far fermare a riflettere chi vi passa vicino. Anche se la maggior parte delle "pietre d'inciampo" ricordano vittime ebree dell'Olocausto, alcune sono in memoria di persone, gruppi etnici e religiosi ritenuti "indesiderabili" dalla dottrina nazista: omosessuali, oppositori politici, Rom, Sinti, zingari, testimoni di Geova, pentecostali, malati di mente, portatori di handicap, etc.
A gennaio 2012 sono state poste nella città di Roma 72 “Stolpersteine”, tra cui quella dedicata sacerdote don Pietro Pappagallo che, oltre all’aiuto dato ai perseguitati, denunciò anche una spia tedesca e venne ucciso nelle Fosse Ardeatine. La sua figura tra l’altro ispirò anche Rossellini per “Roma città aperta”. Il progetto è patrocinato dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e della Comunità Ebraica di Roma e nasce sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica. Altre altre 36 “Stolpersteine” in questi giorni.
Giovedì mattina 17 gennaio 2013 lo scultore Gunter Demnig impianterà a Livorno le “stolpersteine”, le pietre dedicate a Franca, Perla, Enrico e Raffaello Menasci.