da sole 24Ore. La trattativa tra i sindacati e Nuova Carife – che il 21 dicembre ha aperto una procedura per 400 esuberi su 850 lavoratori – scorre sempre di più sul filo politico e in uno scenario di forte contrapposizione tra la banca da un lato e i sindacati dall’altro. Delle 4 good bank, Nuova Carife è l’unica rimasta senza acquirente e che si ritrova oggi con un problema di forte tenuta dei conti. Fonti vicine al negoziato spiegano che la banca sta cercando di arrivare rapidamente a una sintesi con i sindacati perché la riduzione del personale è propedeutica alla cessione e ci sarebbe un termine al 31 dicembre da parte della Bce. I sindacati dal canto loro non sono disposti a nessuna accelerazione soprattutto perché vi è solo traccia parlata e non formale di un acquirente: i tempi della procedura 50 giorni sono e le sigle intendono prendersi tutto il tempo necessario a trovare la migliore soluzione per i lavoratori. Soluzione che non potrà essere i licenziamenti collettivi ex lege 223/1991. Le sigle non sono infatti disposte a mettere la loro firma su un accordo che non contempli la volontarietà delle uscite e a creare un precedente nel settore che ha sempre agevolato le uscite attraverso il fondo di solidarietà.
Le trattative sono in corso e proprio ieri si è svolto un acceso incontro nel quale le parti hanno definito posizioni inconciliabili. Per ora. La banca avrebbe spiegato che delle 400 uscite circa 150 potrebbero avvenire attraverso il fondo: 95 con una permanenza di 5 anni e 50 con una permanenza da 5 a 7 anni, quindi con un costo altissimo. Per i rimanenti 250 lavoratori viene offerto un incentivo di 24 mensilità. In altre parole si salverebbero 450 lavoratori, quasi uno su due. L’alternativa prospettata dalla banca, secondo quanto riferiscono i sindacati, sarebbe la messa in liquidazione dell’azienda.
«Vogliamo conoscere, in via ufficiale, le motivazioni per le quali sembrerebbe che Bankitalia, prima azionista della Cariferrara e rappresentata localmente da suoi emissari, abbia scelto quale unica e conclusiva soluzione, nelle trattative in corso per il salvataggio della CariFerrara, l’applicazione della legge 223 sui licenziamenti collettivi o, in alternativa, la messa in liquidazione della stessa azienda», chiede Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi. Giulio Romani, segretario generale della First Cisl, incalza: «La soluzione non può essere la 223. Se la banca lascia intendere che in assenza di certezza dei risultati sulle uscite non ci saranno offerte da chicchessia ne prendiamo atto, ma lo schema dei licenziamenti non è praticabile. Siamo disposti a prendere in considerazione tutti gli strumenti per la riduzione del costo del lavoro ma non le uscite obbligatorie». Agostino Megale, segretario generale della Fisac Cgil, aggiunge che «nessuno può immaginare di costruire un accordo in quella situazione pur difficile avendo come riferimento i licenziamenti collettivi e la 223. Respingiamo al mittente questa logica. Non si può svolgere una trattativa con i ricatti che non possono arrivare nè da Bankitalia, nè da chi subentrerà. La tutela e la dignità dei lavoratori viene prima di tutto e nessuno sarà lasciato solo». Massimo Masi, segretario generale della Uilca, chiede «la volontarietà delle uscite e il passaggio assembleare in cui spiegare ai lavoratori le eventuali soluzioni che però devono essere volontarie. Se non si trova una sintesi su questa via, intervenga il Governo».
di Cristina Casadei.