La vicenda della donna veneziana costretta a girare 23 diversi ospedali prima di poter abortire, in extremis, e solo grazie all’intervento del sindacato, entro il termine di legge dei primi 90 giorni della gravidanza, fa il paio con il clamore suscitato dal bando emesso dall’Ospedale San Camillo di Roma per l’assunzione di due ginecologi non obiettori per il servizio di Interruzione volontaria della gravidanza, e dalla conseguente richiesta del Ministro Lorenzin e dell’Ordine dei Medici di Roma di invalidare il concorso, perché ritenuto un atto “iniquo” e “discriminatorio” ai danni di chi esercita il diritto, sancito dalla legge, all’obiezione di coscienza.
In realtà, a non essere garantito è, ancora una volta, il diritto delle donne alla salute, e la possibilità di accedere a tecniche sicure per l’interruzione volontaria della gravidanza, sancita dalla legge 194/78, che pure dovrebbe rappresentare un compito fondamentale della sanità pubblica ed un dovere dei medici, pur nel rispetto delle diverse posizioni etiche. Ancora oggi, dopo quasi quarant’anni dalla legge 194, in tutta Italia – per una volta riunita, dal Nord al Sud -, il ricorso all’obiezione di coscienza di molti sanitari impedisce, in molti (troppi) casi, di poter rispondere con tempestività ed efficacia alle richieste di quelle donne che intendono consapevolmente interrompere la loro gravidanza. Ed è gravissimo che alla sofferenza e al dolore che seguono scelte difficili, come quella di non proseguire una gravidanza, si debba aggiungere quella di non potersi rivolgere ad una struttura pubblica ed affidabile.
Del resto, il momento storico che stiamo vivendo non è certo favorevole al diritto di autodeterminazione delle donne: negli USA, il trionfo del repubblicano Trump ha dato nuovo vigore alle crociate antiabortiste; in Ohio si è evitata per un soffio l’approvazione della cosiddetta “legge del primo battito” e in Oklhoama le donne incinte sono state definite come “incubatrici”, “gusci vuoti da riempire”, sul cui corpo hanno facoltà di decidere solo i loro uomini.
Sembra assurdo, ma è invece tristemente necessario ribadire come, nonostante si continui (insistentemente, incessantemente, strenuamente) a parlare di parità e diritti, si è, nella realtà, ben lungi dall’aver assicurato alle donne principi e diritti fondamentali come quello di autodeterminazione.
Ricorrenze come la prossima Giornata internazionale della donna ci servono, allora, a rammentarci come sia ancora lunga la strada per la piena affermazione dei diritti delle Donne, e come si debba continuare a combattere sempre, e non solo, insieme, #LottoMarzo.
Esecutivo Donne Fisac Cgil Campania
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