“Vi sono cammini che non vanno seguiti. Vi sono eserciti che non vanno assaliti. Vi sono città che non vanno attaccate.
Vi sono terreni in cui non ci si affronta.”Sun Tzu, L’arte della guerra, capitolo VIII : Le nove variabili
Stiamo vivendo una stagione molto particolare, delicata, piena di difficoltà, in cui a prevalere sembra essere l’idea della disintermediazione, della sciagurata scelta di negare il ruolo delle organizzazioni di rappresentanza.
Il ridisegno delle forme politiche del nostro Paese, l’astensionismo e la diffusa mancanza di partecipazione attiva tra i cittadini, i lavoratori, i militanti stessi delle organizzazioni sindacali, non può lasciarci indifferenti.
Nei prossimi mesi saremo chiamati a un grande lavoro collettivo, dovremo essere in condizione di rispondere coralmente e puntualmente ai tanti impegni che ci attendono.
Purtroppo, il contesto generale (politico, economico e sociale) non è dei più favorevoli.
A breve subiremo pressioni fortissime da più fronti.
A Palazzo Chigi, forte del vasto consenso dell’opinione pubblica, si insedierà molto probabilmente un esecutivo non amico se non dichiaratamente ostile alle banche e che potrebbe astenersi dal garantire interventi pubblici diretti e/o indiretti.
Giova sottolineare come la partita elettorale è stata conquistata dai vincitori anche grazie alla promessa di non “regalare denaro dei contribuenti” agli istituti di credito in difficoltà.
Non è peregrina, pertanto, ipotesi che future ed eventuali crisi di sistema vengano lasciate agli istituti di risoluzione con le relative gravi conseguenze per le comunità coinvolte.
Spesso, quando si evocano cattive acque, si prendono ad esempio i salvataggi delle banche fallite (le “quattro sorelle” e le venete) trascurando il fatto, decisivo, che lo Stato in queste fattispecie è intervenuto, ed anche pesantemente, con buona pace del cittadino contribuente (cit.).
Il prossimo governo sarà disposto, nel caso, a difendere gli istituti di credito e, per quanto ci preme, i suoi dipendenti?
Non bisogna, altresì, dimenticare delle imminenti trasformazioni delle banche popolari in S.p.A. L’allargamento della base societaria al mercato, soprattutto in istituti di medio-piccole dimensioni, può portare a nuovi assetti,strade inedite e clamorosi ribaltoni per banche collegate ai territori.
Di questi giorni è la notizia che un hedge found di New York (Steadfast Capital) ha conquistato il pacchetto di minoranza di controllo della Creval, diventando il primo azionista di riferimento con il 8,5%, sconvolgendo così i tradizionali ancoraggi locali.
L’accalcarsi di fondi ed investitori esteri nei capitali delle banche popolari rende soggetti – storicamente estranei al panorama degli istituti medio-piccoli – attori protagonisti dei prossimi processi di fusioni ed acquisizioni auspicati dalla BCE.
Lasciamo alla vostra immaginazione cosa potrebbe significare effettuare una trattativa sindacale con una controparte aziendale controllata da un fondo yankee,qatariota, kuwaitiano…
Quale piano industriale potrebbero presentare agli stakeholders e alle organizzazioni sindacali? Con quale ancoraggio ai territori, alle imprese locali o alle famiglie?
Come tralasciare, infine, la dirompente comparsa della Financial Technology (c.d. Fintech) ?
Le forniture di servizi e prodotti finanziari attraverso le più avanzate tecnologie dell’informazione (ICT) sono già realtà.
La Fintech è in forte crescita è può erogare servizi sostitutivi dei canali tradizionali bancari, dalle semplici transazioni ai pagamenti, fino all’intermediazione,alla gestione del rischio e alle criptovalute (Bitcoin, ecc.).
Amazon è in trattativa con alcune grandi banche, tra cui JPMorgan Chase & Co., per la creazione di un prodotto simile a un conto corrente che il gigante dell’e-commerce potrebbe offrire, avvalendosi dei suoi milioni di clienti, file di dati, accesso ai capitali a bassissimo costo, dumping fiscale e un margine di manovra apparentemente illimitato dai suoi investitori per entrare in nuove attività.
Il colosso americano, al pari dei suoi fratelli digitali Facebook, Google et similia, potrebbe essere un temibile concorrente per gli istituti di credito e, solo grazie al controllo dei regolatori finanziari e delle autorità di sistema, si sta arginando e ritardando uno sconvolgente ingresso nel settore del credito.
Se le banche non riusciranno a cavalcare al meglio l’inevitabile cambiamento tecnologico vedranno svanire intere fette di business con ridimensionamento dei ricavi e drammatica compressione dei costi (leggasi, ahinoi, troppo spesso come esuberi di personale).
Dopo aver analizzato la situazione generale torniamo a noi, alla nostra BPB.
E’ oramai pacifico che l’Accordo del 05 Agosto 2017 da noi firmato e sostenuto, è sofferto, impopolare, doloroso e ha l’unico scopo di tutelare il bene primario: la salvaguardia di TUTTI i posti di lavoro.
Tuttavia l’intervento dell’ammortizzatore sociale attutirà l’impatto squisitamente economico e l’istituto della solidarietà consentirà alle lavoratrici ed ai lavoratori di recuperare importanti spazi di tempo-vita (benefici non quantificabili in termini esclusivamente monetari).
Abbiamo puntato sul concetto di solidarietà difensiva riferendoci al famoso motto “Lavorare meno, lavorare tutti”, evitando che la controparte datoriale facesse pagare, come accade in tutte le crisi aziendali, le proprie difficoltà alle lavoratrici e ai lavoratori a mezzo licenziamenti collettivi ed esternalizzazioni di massa.
Giova ricordare, a costo di apparire ridondanti, che nel negoziato dell’estate 2017 si partì da una pretesa aziendale di tagli al costo del personale di euro 30mln annui (equivalenti a 504 “teste”, colleghi).
Questi sono i numeri e i fatti accaduti.
Purtroppo in tanti, complice la divisione della compagine sindacale, non hanno creduto e tuttora non credono che il rischio di pesanti ricadute al personale fosse/sia concreto.
Nel periodo immediatamente successivo all’accordo 05 Agosto 2017 c’è stata una sciagurata campagna di aggressione contro le sigle firmatarie, accusate di ogni nefandezza, allo scopo di delegittimarle agli occhi delle lavoratrici e dei lavoratori.
La campagna ha avuto come esito una divisione fra colleghe e colleghi, dimenticando che è l’Azienda la responsabile delle inadempienze degli accordi e del disagio arrecato, e non questa o quella organizzazione sindacale.
Auspichiamo che si possono ritrovare, pertanto, serenità di giudizio e, finanche, spirito unitario,
dato che la balcanizzazione della compagine sindacale nuoce solo, e non poco, a tutta la platea dei
dipendenti BPB.
La Fisac Cgil si sottrae da questo gioco al massacro, e gradirebbe ci si sottragga tutti, dal meccanismo perverso del “divide et impera”, ribadendo che l’unica controparte negoziale è
l’Azienda, non le altre OO.SS..
L’Azienda determina con colpevole (e talvolta consapevole) approssimazione (se non negligenza) le politiche di organizzazione del lavoro, il Sindacato rappresenta le istanze dei lavoratori e non siede nel Cda del datore.
La BPB era ed è ben consapevole dei problemi tecnici ed organizzativi comportati dall’applicazione dell’istituto della solidarietà e, pur segnalando, censurando e stigmatizzando, il perdurare dello stato di confusione (vedasi ns.comunicato del 16 Marzo 2018 e lettera di diffida del 29 Marzo 2018), non possiamo sostituirci alla controparte per ovviare alle sue carenze/omissioni.
Attendiamo, nelle more, dall’Azienda tempestivo riscontro a quanto già richiesto, riservandoci di avviare ogni iniziativa volta a tutela delle lavoratrici e dei lavoratori, richiamando il rispetto formale e sostanziale dell’Accordo 5 Agosto 2017.
“Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”
Lucio Anneo Seneca
E’ opportuno ricordare come il primo atto di apertura di una trattativa sindacale è la lettera che si invia alla controparte e la forma che assume questo testo ha la sua particolare importanza.
La lettera inviataci dall’Azienda prima dell’accordo famigerato non lasciava margini di incertezza circa il sacrificio richiesto ai lavoratori e non firmare un accordo a salvaguardia di posti di lavoro sarebbe stato un gesto pericolo e incosciente.
Non possiamo permetterci che il datore di lavoro possa effettuare esuberi, anche se si parlasse di un solo esubero, non possiamo giocare al lotto sulla pelle dei lavoratori.
Ogni esubero è una persona, un lavoratore, una famiglia.
Non possiamo lasciare indietro nessuno e nessuno deve essere espulso dal perimetro del contratto del credito.
Il populismo dominante propugna soluzioni semplici a problemi complessi.
Sarebbe bello avere sempre in tasca una risposta pronta a tutto ma, purtroppo, non è così.
Per risolvere i problemi della società e, in particolare del lavoro, occorre conoscere ciò su cui si negozia, curando lo studio, l’analisi e lo sviluppo dei processi organizzativi, ovviamente non prescindendo dal contesto socio-economico di riferimento.
In questo modo si possono elaborare azioni rivendicative aderenti alla realtà.
Realtà multiforme ed in continua evoluzione, che non permette di offrire le stesse risposte rivendicative a problemi analoghi e ripetere gli stessi schemi rigidi, costringendoci a sperimentare nuovi approcci per declinare i nostri valori e le nostre linee politiche di riferimento.
Tutti i partiti hanno cercato di arginare, limitare, delegittimare o finanche annientare il ruolo delle organizzazioni sindacali, ritenuti da destra, centro e (purtroppo) sedicente sinistra corpi intermedi non allineati e fastidiosi.
Nel tempo il sindacato ha dovuto misurarsi con scuole di pensiero che consideravano il conflitto sociale come fenomeno negativo, fonte di disordine, pericolo per la società e costo aggiuntivo per il sistema economico.
Il sindacato, il nostro in particolare, ha sempre dato una connotazione positiva al conflitto sociale, proprio perché su questo ha basato il suo potere contrattuale rivendicativo e, in definitiva, la conquista dei diritti nei luoghi di lavoro.
In assenza della mediazione sindacale l’esperienza insegna che le criticità interne all’organizzazione aziendale non sono espresse e i contrasti assumono spesso la forma latente del conflitto individuale, generando assenteismo anomalo, scarsa collaborazione e disinteresse per il lavoro, ecc..
La buona gestione di relazioni industriali giova sia alle OOSS che al datore di lavoro.
Il presente imprigiona, il futuro spaventa.
Sono emerse paure e solitudini in cui l’individuo si è sentito abbandonato dalle sue figure di riferimento.
E dentro questa perdita d’orizzonte si consuma la crisi del vincolo solidaristico tra le persone ed è aumentata la frustrazione.
Ora più che mai abbiamo il dovere di rimettere al centro del nostro impegno politico l’urgenza di un valore antico ma sempre attuale, la giustizia sociale.
Abbiamo bisogno di organizzare una risposta ai bisogni di protezione delle lavoratrici e dei lavoratori, essere alternativa all’individualismo e alla chiusura.
Dobbiamo tornare ad essere, prima ancora che organizzazione sindacale, una forte comunità di donne e uomini in grado di riconoscere come valore condiviso il mutualismo e la partecipazione attiva.
Il momento richiede uno sforzo e uno slancio collettivo: nessuno può salvarsi da solo.
Siamo nel bel mezzo della tempesta.
Tuttavia il mare calmo non ha mai formato buoni marinai.
Ora il mare di certo calmo non è ma proprio per questo vale la pena di navigare insieme e, insieme, riprendere la rotta giusta.
Bari, lì 6 aprile 2018