Da Milano Finanza – Dopo il rinvio deciso pochi giorni fa, il mese di febbraio sarà decisivo nella trattativa fra Abi e sindacati per il rinnovo del contratto bancario. Alla luce del quadro economico generale, segnala Giuliano Calcagni, segretario di Fisac Cgil, il negoziato si preannuncia ancor più delicato.
Domanda. Quale è il significato di questo rinvio a febbraio?
Risposta. Vogliamo identificare con Abi tematiche strategiche per il rinnovo del contratto. Fermo restando che per noi la base negoziale è la piattaforma validata dai lavoratori in entrata e in uscita per una questione sia di metodo sia di merito. Dai dati emerge la ritrovata redditività delle banche che nel quadriennio 2017-2020 distribuiranno utili agli azionisti per oltre 40 miliardi. Una parte di questa redditività deve andare ai lavoratori, quindi il contratto non deve mirare solo al recupero inflattivo e alla produttività.
D. Quali primi riscontri avete da Abi a queste richieste?
R. Una parte di Abi si rende conto che non si può più parlare di taglio dei costi. Altri si attardano a pensare che il contratto possa essere rinnovato ancora in una logica emergenziale come nel 2010 e 2015.
D. Quali sono i punti fondamentali?
R. La questione degli appalti è centrale: le banche devono predisporre un codice che imponga alle aziende appaltatrici di rispettare i contratti nazionali e le normative di settore. Altrimenti, l’esternazionalizzazione dei servizi si trasforma in una compressione dei diritti. Poi pensiamo di chiedere l’abolizione del salario minimo di ingresso per i giovani. Infine, occorre affermare il diritto alla disconnessione: lo smart working si è trasformato da una forma di liberazione e flessibilità in un incatenamento del lavoratore.
D. Come procede la riqualificazione del personale bancario?
R. Questo contratto si dovrà qualificare anche per il ritorno alla formazione in aula: quella da remoto si è rivelata alienante e fa perdere il senso di appartenenza alla comunità lavorativa e all’azienda.
D. A che punto è la redazione della piattaforma con gli altri sindacati?
R. La contrattazione che si avvia è complessa anche per il contesto economico e la necessità di unità confederale e con gli altri sindacati bancari, allo stato mi sembra di capire che i rapporti fra le organizzazioni siano più che buoni.
D. La ristrutturazione della Pop di Bari presenta rischi per il personale?
R. La trasformazione da popolari in Spa determina rivalutazioni del valore patrimoniale dell’azienda e questo determina conseguenze sulla capacità di credito e sui livelli occupazionali. Due punti devono restare fermi. La Pop di Bari è l’unica banca che ha la direzione centrale nel Mezzogiorno ed è strategico che resti al servizio dell’economia del Sud. Difenderemo i livelli occupazionali consapevoli delle già grandi difficoltà che investono l’area. Per il resto aspettiamo di vedere il piano industriale.
D. Cosa vi aspettate invece dal piano industriale di Carige?
R. I provvedimenti del governo hanno dato ossigeno a Carige. Su mandato Bce, il solco è già tracciato: la banca va aggregata. Le capacità strategiche e di prodotto devono rimanere nel territorio. Quanto all’ipotesi di far intervenire il Fondo per l’occupazione nell’operazione, Fisac non è d’accordo nel trasformare risorse destinate a solidarietà intergenerazionale in capitale di rischio. La proposta non regge né dal punto di vista giuridico né dal punto di vista di giustizia sostanziale: se va in crisi un’altra banca che si fa?
D. Sperate che il partner per Carige sia italiano?
R. È auspicabile che l’aggregazione avvenga con aziende italiane con un piano industriale che tenga conto delle specificità regionali, per salvaguardare una sensibilità culturale e un’attenzione al lavoro, che capitali esteri speculativi spesso hanno dimostrato di non avere.