Fideuram: What’s Next?

Il progetto Next Way Of Working inizia ad affacciarsi concretamente anche in Divisione Private ed in Fideuram. La capogruppo Intesa d’altronde era stata chiara, la pandemia è una “occasione” da non perdere.

Le piantine prefigurano spazi di lavoro “ottimizzati”, cioè compressi, si starà più stretti e questo pone già una serie di questioni relative alla vivibilità in termini di microclima interno (temperatura, umidità, qualità dell’aria).

Al tempo stesso gli spazi saranno ridotti, dimezzati, le postazioni a disposizione di una struttura potranno corrispondere alla metà del relativo organico. È stato detto che il dipendente sarà libero di scegliere ogni giorno se andare al lavoro o lavorare da casa. Ma in realtà non vi sono posti a sufficienza per tutti e si dovrà procedere alla prenotazione, e se non ci sono posti liberi è impensabile andare in ufficio.

Gli ambienti comuni (coworking) all’interno degli stabili, pur previsti nelle slide generali, aiuteranno poco nel concreto poiché sulle piantine si rilevano pochissime postazioni “jolly”. L’opzione “hub” è anch’essa teorica; i posti su piazza scarseggiano, per usare un eufemismo, e quindi di fatto non sussisterà a meno di un cambio radicale con allestimento di nuove strutture per il lavoro flessibile.

I dipendenti necessiteranno quindi – post emergenza pandemica, in maniera stabile e duratura – di una postazione di lavoro domestica. È un cambio di scenario completo, che sostanzia il telelavoro (di fatto già concretizzatosi durante la pandemia, senza riconoscimento tra l’altro del buono pasto) e non il lavoro agile. Nel telelavoro è il datore di lavoro che ha tutta una serie di obblighi a tutela del dipendente, tra cui il dover fornire i mezzi per svolgere la prestazione lavorativa (scrivania, sedia, strumenti, connessione, materiali, ecc.). Non si tratta di palliativi, di “bonus” smart working pur previsti dai decreti, di “fringe benefit” sfruttabili ma mai pervenuti… nel telelavoro la postazione è installata e collaudata a spese del datore di lavoro.

Il datore di lavoro deve accollarsi i costi di allestimento di tali postazioni domestiche, o qualcuno pensa davvero che possa essere un passo avanti per il mondo del lavoro far accollare a chi lavora i costi strutturali?

Vi sono inoltre assunti fondamentali da cui ripartire, perché sono stati messi in discussione e poi ignorati. La postazione domestica deve essere a norma per non causare danni ai lavoratori.

Quindi non potrà essere accettabile il lavorare sistematicamente con pc portatili. Anche a casa si deve lavorare con monitor regolabili in altezza, profondità e inclinazione e di dimensioni idonee. Si deve avere tastiera separata e mouse. La sedia deve avere lo schienale regolabile in altezza, profondità e inclinazione, e la seduta regolabile in altezza, con braccioli regolabili e cinque ruote. Si deve avere una corretta illuminazione.

Il datore di lavoro deve per legge rispettare questi punti fermi, che sono applicabili anche se la postazione di lavoro è domestica, perché la tutela psicofisica del lavoratore non può essere messa in secondo piano rispetto a nulla. Ciò anche se lo si chiama lavoro agile o smart working, partito a suo tempo come facoltà sfruttabile su base volontaria in chiave di conciliazione dei tempi di vita e lavoro, ma di fatto in trasformazione in telelavoro obbligato con l’obiettivo lampante di una riduzione dei costi operativi, realizzato sulla pelle delle persone.

D’altro canto, il contratto nazionale pone un tetto massimo di 10 gg mese a persona per il lavoro agile, quindi il Next Way Of Working si preannuncia di fatto fuori dal contratto nazionale. Ma nella “fucina” Intesa non si perde tempo, e assieme agli strumenti già realizzati per la destrutturazione del rapporto di lavoro (il contratto misto) si procede spediti verso la destrutturazione dell’ambiente di lavoro (la perdita della postazione di lavoro in ufficio sostituita da telelavoro senza le tutele del telelavoro). Questa problematica impatterà molto probabilmente anche sulle filiali ed in generale sugli ambienti lavorativi della rete bancaria.

Che ciò stia avvenendo senza una trattativa sindacale la dice lunga sullo scenario che si presenta nel Gruppo ISP, con all’orizzonte il nuovo Piano Industriale. Una trattativa è invece necessaria, Intesa deve capirlo o bisogna farglielo capire.

30 settembre 2021

Fisac Cgil Divisione Private

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