Le misure emanate non garantiscono una conciliazione su basi di rispetto paritario tra le esigenze di servizio e quelle del lavoratore. Da parte aziendale sarà esercitabile una discrezionalità assoluta.
Non viene garantito il reale diritto alla disconnessione. Non è prevista l’erogazione del buono pasto pieno e non è previsto nulla a ristoro per le maggiori spese domestiche. Il coinvolgimento delle reti bancarie nell’effettiva fruizione dello SW e pure del 4×9 è del tutto insufficiente, e non si considerano a pieno le giornate di formazione flessibile come diritto esigibile. Vi è infine un’ingiustificata penalizzazione per i colleghi a part time.
Dai confronti che stiamo avendo con i lavoratori emerge chiara la loro delusione e contrarietà rispetto alla condotta tenuta da Intesa in trattativa, fino alla sua decisione di interrompere la trattativa.
Lo smart working necessita di equa regolamentazione, essendo insufficiente quanto emanato unilateralmente, ed occorre consolidare i vantaggi di questa modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, e delle altre flessibilità previste a partire dal “4×9”, neutralizzandone al tempo stesso i rischi.
Alla luce di ciò, consigliamo a colleghe e colleghi di ponderare bene l’adesione, respingere al mittente ogni indebita pressione aziendale, e valutare, con il supporto sindacale, il da farsi rispetto alle nuove norme nell’ambito delle esigenze di conciliazione dei tempi di vita e lavoro.
Sul tema del “Nuovo Lavoro Agile”, sul “4×9” e le altre opzioni presenti nelle proposte aziendali a lavoratrici e lavoratori relativamente alle flessibilità individuali volontarie, rimandiamo all’informativa pubblicata dalla Fisac di Gruppo ISP in data 23/1: https://fisacgruppointesasanpaolo.it/smart-working-4×9-e-flessibilitacosa-ce-da-sapere.
In questa e altre informative sindacali già circolate vi sono tutte le informazioni disponibili a valutare le misure emanate, optando per l’adesione o meno, avendo chiaro fin da subito che non vi sono scadenze ultimative per aderire e che l’adesione è volontaria e può essere revocata.
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Tornando alla trattativa interrotta ed alla necessità di una sua ripresa, a cui deve tendere l’auspicabile e necessaria mobilitazione, tramite ciclo di assemblee nel Gruppo ISP, essa va contestualizzata per stigmatizzare efficacemente la condotta della controparte. Al riguardo è utile vedere cosa si è mosso sul versante legislativo.
Sul tema del lavoro agile sono stati depositati nella precedente legislatura ben 10 disegni di legge, a testimonianza della delicatezza degli aspetti normativi connessi allo svolgimento della prestazione lavorativa al di fuori della “sede” aziendale, modalità che d’altro canto riguarda e riguarderà sempre più persone per effetto delle esigenze di conciliazione dei tempi di vita e lavoro, delle necessità di gestione dei rischi sanitari, e dei formidabili risparmi già sperimentati in pandemia dalle aziende sul proprio conto economico.
Le dieci proposte di legge sono state unificate dalle competenti commissioni parlamentari in un testo unico1 su cui le parti sociali sono poi state chiamate ad esprimersi in via consultiva, e tra esse l’Associazione Bancaria Italiana (ABI).
L’ABI si è espressa2 innanzitutto rispetto alle fonti di regolamentazione del lavoro agile, dichiarando che non sono necessarie modifiche all’attuale impianto legislativo (L. n. 81 del 2017), salvo utili interventi di sostegno, agevolazione e semplificazione e ribadendo che le adesioni individuali vanno sburocratizzate il più possibile in quanto appunto da collocarsi all’interno di un quadro definito dalla contrattazione collettiva, sede più idonea per la definizione delle regole per attuare efficacemente il lavoro agile e che coniuga le reciproche esigenze delle parti e definisce le modalità per la loro gestione equilibrata. Questo ribadito aspetto della posizione espressa dall’ABI è mancante nel Gruppo ISP, dove la trattativa è stata chiusa da Intesa senza accordo con i sindacati.
L’ABI ha insistito poi sulla necessità di semplificazione delle modalità di accesso al lavoro agile, che secondo l’Associazione andrebbe concretizzate eliminando la necessità di formalizzazione delle adesioni individuali (le vorrebbe persino libere nella forma), e riducendo quantità e qualità delle comunicazioni obbligatorie da inviare agli organismi di monitoraggio e vigilanza. Per l’ABI quindi e pure per il Gruppo ISP che non ha inteso regolamentare neanche le giornate di formazione flessibile, si vuole la massima libertà nella gestione del lavoro flessibile.
L’ABI ha chiesto inoltre che vengano ridotti gli obblighi in termini di salute e sicurezza, poiché sussisterebbe a livello generale un basso rischio infortunistico in relazione al lavoro agile, e chiede espressamente che si affermi l’estraneità del lavoro agile rispetto all’applicazione delle misure previste nel nostro ordinamento in ragione della presenza di una “postazione fissa”, tenuto conto – a suo dire – che la stessa definizione di lavoro agile esclude la presenza di quest’ultima nello svolgimento dell’attività fuori sede. Per l’ABI quindi, ed a maggior ragione nel Gruppo ISP si ritiene che la prestazione lavorativa del lavoro agile si svolga in un “altrove”, che non comporta alcun obbligo o necessità in capo al datore di lavoro.
Siamo completamente dentro la deresponsabilizzazione del datore di lavoro (peraltro la pandemia ha visto in tribunale sentenze che stigmatizzano e puniscono i vertici del Gruppo per omissione dolosa di cautela, reato codificato nel codice penale).
In tema di incentivi, auspicando il ricorso diffuso al lavoro agile e prefigurandone in prospettiva il suo utilizzo in via ordinaria, l’ABI ha chiesto misure che agevolino gli investimenti che le imprese hanno fatto e dovranno continuare, auspicando esplicitamente l’impegno anche di risorse pubbliche per evitare che le imprese siano da sole a dover finanziare infrastrutture, attrezzature, dotazioni, nonché la formazione necessaria a garantire la produttività. Per l’ABI quindi, ed a maggior ragione per il Gruppo ISP che mette sul piatto miseri tre euro per ognuna delle 120 giornate teoriche annue (3 x 120 = 360 euro annui) vanno impiegate addirittura risorse pubbliche per sostenere in via “ordinaria” una modalità di lavoro che aziendalmente porta risparmi colossali. Il tutto senza particolari oneri a carico aziendale.
Da evidenziare il passaggio in cui ABI ha affermato che l’ampio ricorso al lavoro agile è stato possibile anche grazie alla disponibilità del lavoratore all’utilizzo delle proprie dotazioni personali. Nel Gruppo ISP quanti smartphone personali vengono quotidianamente impiegati necessariamente (mancando il dispositivo aziendale) per l’accesso del lavoratore agile alle applicazioni informatiche, ai sistemi di comunicazione e quindi per lo svolgimento della prestazione lavorativa?
Riguardo, infine, il diritto alla disconnessione dagli strumenti e dallo spazio digitale, per l’ABI e per il Gruppo ISP non servono nuove e migliori norme sulla disconnessione, è sufficiente il fatto che essa sussiste come facoltà, rimanendo però fermi gli assetti organizzativi, i contesti produttivi e le eventuali specifiche esigenze organizzative che si vuole rimangano fuori da ogni discussione e quindi regolamentazione.
Anche su questo quindi non si vuole che la contrattazione collettiva produca effetti concreti, pur se a livello generale – per evitare interventi legislativi – viene sempre dichiarata dall’ABI sede più idonea per la definizione delle regole per attuare efficacemente il lavoro agile.
30 gennaio 2023
Fisac Cgil Divisione Private