IN QUESTO NUMERO, spazio ai territori: Covid-19, tra “ripartenza” e shock economico Gli invisibili: ecco i lavoratori salariati Confinamento a casa e smart working negato L’attuale normativa emergenziale sullo smart working Smart working: opportunità per i lavoratori o arma di destrutturazione contrattuale? Seguici sul sito: www.fisac-cgil.it/creval Scarica il pdf Covid-19, tra “ripartenza” e shock economico Torna all'indice - La ripartenza che si sperava immediata, causa nuovi focolai e contagi in tutte le aree del mondo, sembra stia perdendo forza. Il Sole 24 Ore segnala un calo del Pil dell’Eurozona nel trimestre aprile - giugno del 12%, mentre quasi cinque milioni di persone hanno perso il lavoro nel solo secondo trimestre dell’anno in corso. Oltre a ciò decine di milioni di lavoratori hanno subito la cassa integrazione oltre ai milioni di lavoratori diventati “inattivi” perché ormai senza possibilità di trovare un posto (Sole 24 Ore 24 agosto). Di fronte a questi dati gli Stati nazionali, già appesantiti nei loro bilanci dai veleni della crisi finanziaria del 2008, hanno cercato di reagire con il varo di massicci piani di rifinanziamento. Per l’Europa potenza si tratta di circa il 10% del suo Pil, un New Deal europeo all’insegna del confermato “whatever it takes” della BCE, dei pilastri ESM, SURE e BEI, e della proposta per la ripresa denominata “Next Generation EU” per un volume complessivo di circa 2.400 miliardi di euro. Basterà tutto questo ad assicurare il benessere raggiunto nelle cosiddette economie avanzate? I mezzi mobilitati saranno vincolati a piani di riforma negli Stati beneficiari, verso una forma di unione fiscale europea, nel quadro della ristrutturazione verso il digitale e l’economia “verde”, con l’obiettivo più volte dichiarato di costituire campioni europei e una sovranità tecnologica in grado di competere con i gruppi americani, cinesi, coreani e giapponesi. Secondo “esperti e politici” tutto questo sarebbe utile a tutelare i lavoratori europei in un momento di crisi sanitaria che ci avrebbe visto, secondo loro, tutti accomunati alle altre classi sociali. Secondo questi “saggi esperti” dovremmo però “accettare” un diverso modello di relazioni sindacali, privilegiando la contrattazione aziendale, se non persino individuale, lavorando per obiettivi, anche personali. Questa è la sostanza delle sollecitazioni che ci arrivano non solo dalla politica nostrana e dall’establishment nazionale, ma anche da quello europeo. E i riflessi si vedono anche nel settore bancario, dove le politiche aziendali connesse all’emergenza sanitaria hanno però dimostrato sin qui l’esatto contrario: non solo che non siamo tutti sulla stessa barca ma anche che, se non saremo bene attenti e decisi nel difenderci, rischieremo di perdere anni di conquiste sociali e sindacali. Con questo numero svilupperemo alcuni approfondimenti e riflessioni quale contributo unitario per le prossime scadenze sindacali e per approntare la migliore difesa delle nostre condizioni e aspettative. Gli invisibili: ecco i lavoratori salariati Torna all'indice - Non è vero che “siamo tutti sulla stessa barca”! Il Covid- 19 ha attraversato la nostra classe, e non solo in senso fisico con contagi e morti, ma anche dividendo lo stesso mondo salariato. L’”Io resto a casa”, la parola d’ordine scandita per diverse settimane almeno fino a maggio, ha riguardato meno della metà dei lavoratori, con l’ipocrita divisione tra lavoratori essenziali e non. La pandemia ha portato alla ribalta quelli che prima erano «invisibili»: lo hanno scritto i giornali italiani, ma anche il “Financial Times”, “Le Monde” o il “Washington Post”. Ci vuole una bella faccia tosta: invisibili sarebbero stati gli infermieri e gli inservienti che consentono agli ospedali di funzionare, gli operai che mandano avanti le fabbriche, gli addetti alla logistica che movimentano le merci, le cassiere dei supermercati, i bancari a contatto con il pubblico, gli autisti, chi si occupa del gas e dell’elettricità, i braccianti nei campi e nei frutteti, le badanti nelle case a seguire i vecchi. Ma a chi la vogliono raccontare? Questa è buona parte dei lavoratori salariati, la nostra classe, che infatti in maggioranza è sempre stata al lavoro; sono ed erano invisibili solo per chi non vuol vedere, gli occhi foderati dal pregiudizio sociale e dalle fanfaluche sulla scomparsa delle classi. Forse che non si sapeva quanti braccianti sono immigrati senza tutela, alloggiati in ruderi o in baracche indegne, a fare la stagione delle arance e dei pomodori al Sud e della frutta e delle vigne al Nord? O quanti addetti alle pulizie tirano a lucido pavimenti e vetrine scintillanti degli uffici, assunti coi trucchi delle cooperative di comodo e delle finte partite IVA? E gli operai poi, di cui sociologi avevano proclamato la scomparsa, chi mai doveva esserci dietro ai torni e agli altiforni, negli impianti chimici e farmaceutici, nei macelli, nei caseifici, come nei poli della logistica a movimentare le merci? E noi BANCARI, che accomunandoci ai banchieri si sono ostinati a non accorgersi di NOI nemmeno in periodo di lockdown, quando invece eravamo -senza misure di protezione! - alle prese con i contraddittori strumenti finanziari predisposti frettolosamente a sostegno delle categorie colpite dal Covid? Ci facciano il piacere, e ci risparmino la loro ipocrisia ancora più stomachevole visto l’attuale record di contratti nazionali scaduti e non rinnovati: sono infatti circa 14 milioni i lavoratori italiani in attesa di rinnovi, in buona parte proprio i cosiddetti “essenziali”. Confinamento a casa e smart working negato Torna all'indice - E ci risparmino la loro ipocrisia anche per i colleghi costretti invece a rimanere casa. Si è detto che erano in “smartworking” o “lavoro agile” in italiano... In realtà è stato ed è semplicemente lavoro a casa: senza orari, senza contatti con gli altri colleghi, in molti casi con l’incertezza di una sede di lavoro chiusa fino a nuovo ordine, occasione per alcune aziende per accelerare nei loro processi di ristrutturazione e riordino dei “loro bilanci”, con chiusure di agenzie o cessione di interi stabili. Nel settore finanziario, e nelle banche in particolare, quasi tutta l’attività lavorativa delle direzioni centrali si è spostata nelle case dei lavoratori e delle lavoratrici con tutte le spese elettriche e di connessione a loro carico e senza nemmeno il riconoscimento del buono pasto. Nella rete commerciale sono invece state forti le resistenze delle parti datoriali a considerare il lavoro da casa come una soluzione per mettere in sicurezza lavoratrici e lavoratori, tutelando anche chi doveva gestire i propri figli con le scuole e gli asili chiusi. La loro priorità era ed è, piuttosto, tenere aperte le filiali bancarie per garantire il contatto con il pubblico, spesso senza adeguati strumenti di protezione, ottenuti poi in buona parte solo con l’ostinata azione delle OO.SS e degli RLS. Soltanto con gradualità, e grazie a diversi interventi sindacali, si è riusciti quindi a ridurre la presenza delle persone nella rete commerciale, predisponendo turnazioni tra colleghi e accessi contingentati su appuntamento per la clientela. Ma le contraddizioni rimangono, in quanto l’attuale smart working viene disposto unilateralmente dall’azienda con il serio rischio di discriminazioni e vere e proprie ingiustizie verso i soggetti più deboli e fragili. Nella rete commerciale il lavoro da casa è stato, quindi, autorizzato e organizzato di volta in volta con molte difficoltà e - nonostante l’esperienza vissuta - in molti casi resta ancora disconosciuto. E questo nonostante il Decreto Rilancio ne preveda l’attuazione in casi particolari di difficoltà familiari o personali. Ci chiediamo quindi quanto queste difficoltà siano espressione di ostacoli oggettivi e quanto contino invece le “resistenze culturali”, o meglio, gli interessi commerciali che, secondo alcuni benpensanti, dovrebbero sempre prevalere su tutto e tutti. L’attuale normativa emergenziale sullo smart working Torna all'indice - L’attuale normativa sullo smart working è di natura emergenziale e trae la sua fonte non dalla Legge 81 del 2017 che definisce i termini per un accordo individuale tra le parti, ma dalla decretazione d’urgenza emessa per il Covid-19 a partire dal 1° marzo. La proroga dello stato d’emergenza al 15 ottobre ha procrastinato anche la possibilità di far ricorso allo smart working in forma cosiddetta “semplificata”, cioè senza accordo tra le parti, deciso unilateralmente dalle aziende. Anche lo speciale regime dei diritti e delle priorità nell’accesso al lavoro agile per determinate categorie di dipendenti, che si è andato stratificando nei mesi scorsi per effetto dei vari provvedimenti legislativi, subisce la proroga al 15 ottobre, ma con un’importante eccezione. Il diritto allo smart working per i lavoratori genitori con almeno un figlio minore di 14 anni, previsto dal Decreto Rilancio, vale solo fino al 14 settembre, per effetto della riapertura delle scuole, ma senza nessuna previsione nel caso di parziali nuove chiusure degli edifici scolastici per effetto di eventuali nuovi focolai di contagio. Tra l’altro il bonus baby sitting e il congedo parentale straordinario, introdotti in favore dei genitori lavoratori a causa della sospensione delle attività scolastiche, scadono il 31 agosto. Dopo il 14 settembre (e fino al 15 ottobre), gli unici lavoratori che potranno “pretendere” di rendere la prestazione in smart working saranno i disabili gravi o quelli che hanno un disabile grave nel proprio nucleo familiare, nonché quelli che, sulla base di una valutazione del medico competente, siano maggiormente esposti a rischio di contagio, in ragione dell’età o della condizione derivante da immunodepressione, da esiti di patologieoncologiche o dallo svolgimento di terapie salvavita o, comunque, da altre malattie in corso. Sono però diritti difficilmente esercitabili secondo gli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori, compreso quello dei genitori di figli under 14, in quanto il diritto allo smart working può essere fatto valere a condizione che «tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione lavorativa» (Decreto Legge art 39 del 17 marzo e Decreto Legge art 90 del 20 maggio 2020). Tutto questo ha lasciato ampi spazi di incertezza e forti contraddizioni per le aziende che, specie sulla rete commerciale, hanno prima confinato nel lavoro a casa diversi lavoratori in “periodo di lockdown”, anche con l’utilizzo della propria strumentazione personale, per poi sostenere in “fase di riapertura” che quell’attività non era più compatibile con lo smart working, con conseguente possibilità di qualche contenzioso. Per questi motivi diventa necessario che lo smart working torni il prima possibile ad essere regolamentato mediante contrattazione, superando anche le regole ordinarie previste dalla legge 81/2017, fondate sul libero accordo delle parti. Oggi è già presente una regolamentazione nel rispetto degli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori definita nel nostro CCNL Credito che stabilisce un numero massimo di 10 giornate lavorative nel mese, derogabili mediante accordi aziendali/di gruppo che potranno anche stabilire la durata (a tempo determinato o indeterminato) del ricorso al lavoro agile, e le relative modalità di adesione, revoca e recesso. Ma le riflessioni che si stanno sviluppando da più parti sullo smart working nascondono pericolose insidie su cui è bene aprire gli occhi. Secondo alcuni l’aspetto di conciliazione vita-lavoro di questa forma lavorativa, che crea tanto interesse tra i colleghi, è utilizzato invece per due obiettivi nemmeno tanto nascosti: destrutturare gli orari lavorativi a favore di obiettivi e risultati individuali allungando di fatto l’orario di lavoro e ridurre il costo del lavoro svuotando del tutto i CCNL. Senza contare che il legame troppo stretto tra smart working e condizione personale (magari disagiata) rischia di creare situazioni di potenziale emarginazione, che potrebbero ritorcersi contro chi si vorrebbe agevolare. Smart working: opportunità per i lavoratori o arma di destrutturazione contrattuale? Torna all'indice - Le aziende hanno ostacolato anche in periodo emergenziale l’utilizzo dello smart working richiesto dai colleghi. Due i motivi principali: il criterio della presenza fisica, ritenuto indispensabile per chi è a contatto con il pubblico e metro per valutare la prestazione lavorativa, e la differente efficacia delle pressioni commerciali a distanza - effettuate tramite telefono, mail e chat aziendali – rispetto a quelle effettuate in presenza. Sono due motivazioni che dimostrano come le aziende vogliano mantenere il loro “tallone di ferro” sui lavoratori in modo da “spremere” il massimo possibile del loro potenziale anche con forme più o meno coercitive che il sindacato sta da tempo combattendo. Ma anche nella possibile definizione di questo istituto contrattuale, laddove dovesse essere riconosciuto ai colleghi, compare evidente il tentativo di scardinare i contratti collettivi e con essi i diritti dei lavoratori specie in materia di orari. Un articolo apparso su “CorrierEconomia” del 10 luglio aveva il seguente titolo: «Smart working o ufficio? Addio a orari di lavoro e weekend: così cambia il lavoro». Secondo questo giornale che riprende un articolo de l'Economist, oggi i «confini di orario non sono più così definiti, non c'è nessuna linea netta a scandire come un metronomo i momenti del nostro quotidiano. Senza il concetto del "da lunedì al venerdì" il fine settimana diventa qualcosa di nebuloso. Il lavoro invade il tempo libero e viceversa». Secondo questi “saggi ed esperti” in futuro i dipendenti potranno lavorare e fare delle pause quando vogliono, con la videochiamata aziendale come unico appuntamento. In realtà è evidente il tentativo di rendere reperibili i lavoratori per una durata temporale oggi non riconosciuta. E chi invoca il diritto alla disconnessione, peraltro recentemente riconosciuto nell’ultimo CCNL del Credito, non si rende conto che comunque non è in grado di tutelare il lavoratore da quella reperibilità e disponibilità continua cui le aziende puntano. Un recente disegno di legge vorrebbe infatti definire le fasce di reperibilità del lavoratore, al di fuori delle quali non può essere chiamato, nonché la prestazione lavorativa da svolgersi in un arco temporale non superiore alle 13 ore giornaliere! È necessario perciò difenderci da questi attacchi che arrivano da più parti, che ci prospettano una illusoria flessibilità gestita da noi lavoratori ma che considerano l’orario di lavoro definito ormai superato e gestito esclusivamente dalle esigenze delle aziende. Recentemente il Segretario Generale della Cgil, Maurizio Landini è così intervenuto sulla materia: «Io non sono affatto d'accordo sull'idea che il tempo-lavoro ormai sia scomparso e che si debba ragionare solo per obiettivi. E anzi non capisco perché la possibilità o la necessità di operare da remoto debba comportare la cancellazione di conquiste. Abbiamo stabilito che se io lavoro di notte o di domenica, tu mi dai una maggiorazione o un’altra cosa? E perché ora, dovrei perdere tutto se lo faccio da casa?» E conclude: «La progettazione di un nuovo modello sociale deve avere al centro l’uomo e il lavoro come elemento di valorizzazione. E non il mercato, il profitto che lasciati da soli mi sembra abbiano già fatto abbastanza danni». Condividiamo queste riflessioni, che dovranno diventare pratica di rivendicazione sindacale. Ma per fare questo è necessario il sostegno di tutti, sviluppando la coalizione sindacale e la conseguente azione coinvolgendo il maggior numero di colleghe e colleghi interessati.