Riparte il Risiko bancario
Torna all’indice – Con l’offerta pubblica di scambio di Intesa su Ubi riparte il risiko bancario in Italia. Con questa operazione, che oggettivamente cambia gli equilibri nel settore finanziario del nostro paese, la prima banca italiana vuole costruire un gruppo di dimensione europee. Da tempo ormai i regolatori spingono per far ripartire le aggregazioni, specialmente tra banche di medie dimensioni, considerate necessarie per affrontare il problema della scarsa redditività di buona parte del sistema bancario italiano. Prima di fare considerazioni più generali vediamo un po’ più nel dettaglio come è costruita l’operazione. Il progetto di Intesa, che prevede di acquistare le azioni Ubi ad un prezzo inferiore al valore contabile, pur con un premio per gli azionisti della banca bergamasca, dovrebbe produrre, nello scenario delineato dalla banca milanese, un goodwill (avviamento) negativo, utilizzato per coprire gli oneri di integrazione e per accelerare la riduzione dei crediti deteriorati. C’è inoltre inoltre un accordo con Bper Banca per la cessione di più di 500 sportelli alla banca emiliana, in modo da affrontare preventivamente le tematiche antitrust. Il progetto di Intesa prevede significative sinergie da costi, derivanti dalla messa in comune delle strutture. Ci saranno 5.000 uscite volontarie compensate parzialmente da 2500 assunzioni. Le sinergie da ricavi sono stimate in 220 milioni di euro, da ascrivere sostanzialmente all’estensione del modello di servizio di Intesa, a più alta redditività, alla clientela di Ubi. Il patto di sindacato Car è contrario alla possibile aggregazione, mentre un’associazione come Coldiretti si è schierata a favore. Tra le motivazioni addotte da quest’ultima c’è il fatto che Coldiretti vede nella fusione tra i due gruppi bancari la possibilità per le aziende più performanti di accedere a servizi e condizioni migliori. L’ops è considerata dalla maggior parte degli analisti un’operazione industriale e non di sistema, infatti nonostante il cospicuo premio agli azionisti di Ubi il titolo Intesa non è stato penalizzato eccessivamente dal mercato, al netto degli effetti sulle borse dell’emergenza legata alla pandemia. Un interrogativo che gli attori politici e sociali dovrebbero porsi è se questa eventuale aggregazione influirà positivamente o meno sulla trasformazione ecologica e digitale della struttura produttiva italiana. Il paese ha bisogno di un sistema finanziario che supporti le imprese virtuose che intraprendono il difficile percorso di transizione verso un’economia sostenibile e ad alta intensità di tecnologia ed è anche con questa lente che noi operatori sindacali dobbiamo giudicare le trasformazioni nel settore finanziario. Dobbiamo soprattutto interrogarci su quali saranno le conseguenze sulle lavoratrici ed i lavoratori del credito della ripresa del consolidamento del settore. Le integrazioni avranno il loro inevitabile corollario di esuberi, che saranno gestiti in modo sostenibile con l’utilizzo dell’ammortizzatore sociale di settore. Le uscite dovranno essere compensate da un congruo numero di assunzioni e su questo le organizzazioni sindacali saranno pronte a mobilitarsi.
Rilevantissimo sarà il cambiamento sull’organizzazione del lavoro. Alcuni studiosi sostengono che le banche debbano abbandonare il modello gerarchico-piramidale per approdare ad un modello molto più snello (banca piatta), in modo da specializzarsi nel credito non tradizionale ed in attività finanziarie dove sono in grado di mantenere una supremazia competitiva grazie alle competenze distintive che i nuovi competitor non possiedono.
Un’altra pressione al cambiamento viene dalla digitalizzazione dei processi, che può consentire alle aziende di credito di adottare un modello organizzativo meno rigido. Questo passaggio presenterà dei momenti di difficoltà per le lavoratrici ed i lavoratori, per cui bisogna costruire le condizioni per governare in modo socialmente sostenibile il cambiamento che si sta determinando. Il contratto nazionale rinnovato nei mesi scorsi fornisce degli strumenti validi. Uno di questi è sicuramente la cabina di regia sulla digitalizzazione. E’ importante trovare delle soluzioni condivise in materia di innovazione proprio perché la tecnologia non è neutra per cui potrebbero determinarsi vincitori e vinti. Ad esempio la tecnologia potrebbe servire a portare le attività
dove sono i lavoratori, evitando fenomeni di mobilità selvaggia, che rappresenta uno dei rischi delle riorganizzazioni. L’esperienza di questi mesi ci dimostra che la digitalizzazione consente di decentrare agevolmente le lavorazioni anche a distanze rilevanti. La stampa parla addirittura di south working, ossia di lavoratori dipendenti di aziende del nord che svolgono la loro prestazione a centinaia di chilometri di distanza. Ci sono, quindi, le condizioni per portare lavorazioni specialistiche al sud, provando ad invertire un processo sociale che vede da anni giovani qualificati spostarsi a centinaia di chilometri di distanza per trovare un’occupazione all’altezza della loro preparazione. Questo sarebbe un modo socialmente responsabile di governare i processi di digitalizzazione.